di Daniele Rocchetti
Sono passati dieci anni da quel marzo del 2011 quando sui muri delle scuole di Da’ra, una piccola città siriana a pochi chilometri dal confine con la Giordania, comparvero, ad opera di studenti, le prime scritte contro il regime degli Assad. Un gesto che diede inizio ad una catena progressiva, in quasi tutta la Siria, di iniziative per chiedere il ripristino delle libertà civili e la fine dello stato di emergenza in vigore dal 1963. Quelle scritte chiedevano libertà, dignità, possibilità di futuro. Parole che dopo dieci anni non hanno ancora trovato ascolto e sono state represse brutalmente. Un Paese bellissimo ridotto per lo più in macerie, centinaia di migliaia di morti e di scomparsi (come non ricordare padre Paolo Dall’Oglio?), milioni di civili, uomini e donne, vecchi e bambini, in fuga: quasi sette milioni di loro hanno trovato rifugio fuori dalla Siria, più o meno lo stesso numero all’interno dei confini nazionali. Una miseria che secondo il documento preparato nei giorni scorsi da Caritas Italia (da leggere assolutamente) ha il volto di più di tredici milioni di siriani bisognosi di assistenza umanitaria e di oltre dodici milioni che nel Paese hanno fame per le conseguenze di questa guerra infinita e dimenticata.
Lo scandalo della guerra, la vergogna delle armi
Dimenticata è pure la guerra nello Yemen (molti lettori forse neanche sanno dove questo Paese si trovi sulla carta geografica). Dopo sei anni e mezzo di un conflitto interno manovrato da Stati con spiccati interessi regionali (Arabia Saudita e Iran in primis) la situazione è drammatica. Quasi trecentomila morti e la più grave carestia degli ultimi decenni. Milioni di persone senza accesso all’acqua e ai beni fondamentali, più di due milioni di bambini che nel 2021 potrebbero essere colpiti da malnutrizione gravissima. Una catastrofe umanitaria – la più grave di questo secolo – lontana dai riflettori del mondo, accompagnata da un’altra grave vergogna: “la vendita di armi più redditizia degli ultimi anni, dove le società produttrici americane ed europee hanno aumentato il loro fatturato per esaudire le richieste dei Paesi del Golfo, armamenti e munizioni in larga parte già impiegati nel Nord dello Yemen” (Laura Battaglia). L’Italia ha fatto la sua parte, raddoppiando – fino alla moratoria del gennaio scorso – la vendita di armi, missili e bombe all’Arabia Saudita (“Paese del Rinascimento”, lo ha definito qualcuno) e agli Emirati Arabi finite poi in Yemen alla milizie filogovernative. Rendere ragione della Croce.
Ho voluto ricordare solo due tra i molti Paesi del mondo che vivono situazioni drammatiche che mettono quotidianamente a rischio la vita dei più fragili e dei più piccoli. Dentro questi drammi, andiamo a celebrare, nei prossimi giorni, i giorni di Pasqua. Giorni che – per il secondo anno consecutivo – vivremo dentro il carico di sofferenza e di morte procurato dalla diffusione planetaria della pandemia. Giorni che obbligano noi cristiani a rendere ragione dell’inaudita pretesa di credere in un Dio che morendo in modo infamante sulla croce è speranza di vita per tutti.
Difficile e stretto pare essere il sentiero: difendere insieme le ragioni di Dio e quelle degli uomini. Raccontare la passione di Cristo dentro la storia di passione degli uomini, senza essere sordi al dolore e muti alla consolazione. Perché la novità del paradosso cristiano del Vangelo del Dio crocifisso sta nell’andar oltre la duplice riduzione: “non si tratta né della morte di Dio per affermare la presunta assolutezza dell’uomo, né della morte dell’uomo per celebrare un’astratta purezza della gloria di Dio. Il dolore dell’uomo e il dolore di Dio si incontrano sulla Croce in una conturbante prossimità e commistione.” (Bruno Forte).
In ascolto delle vittime, cercando il volto
Mi ha accompagnato in questi tempi, un testo prezioso di un teologo di grande valore, Johann Baptist Metz, padre della teologia politica, morto nel dicembre del 2019. Il libro, pubblicato anni fa dalla Queriniana, ha per titolo: “Per una mistica degli occhi aperti”. La tesi di fondo che unisce i diversi interventi presentati nel libro è che “il primo sguardo di Gesù è uno sguardo messianico. Non è prima di tutto per il peccato degli altri, ma per la loro sofferenza”. Una postura, questa, che i cristiani hanno rischiato di dimenticare lungo la storia sottolineando più una religiosità di tipo privato senza attenzione al grido di sofferenza proveniente dalle vittime della storia, a tutti coloro che sono rimasti senza voce e dimenticati. Primo passo per assumere lo stile di Gesù è dunque quello di coltivare la memoria della sofferenza. Per custodire così quella che il teologo tedesco chiama “una mistica biblica della giustizia: è la passione di Dio nel senso di compassione, di mistica pratica della compassione”. Per questo «la fede cristiana è una fede che cerca la giustizia. Certamente, i cristiani sono sempre anche dei mistici, ma non sono esclusivamente mistici nel senso di una spirituale esperienza di sé, bensì nel senso di una spirituale esperienza di solidarietà. Sono prima di tutto “mistici con gli occhi aperti“. La loro mistica non è una mistica naturale senza volto. È, piuttosto, una mistica che cerca il volto, che porta prima di tutto all’incontro con gli altri che soffrono, all’incontro con la faccia degli infelici e delle vittime… Gli occhi aperti e vigili ordiscono in noi la rivolta contro l’assurdità di una sofferenza innocente ed ingiusta; essi destano in noi la fame e la sete di giustizia, della grande giustizia per tutti, e ci impediscono di orientarci esclusivamente all’interno dei minuscoli criteri del nostro mondo di meri bisogni».
La croce fiorirà
Dunque – e non è un paradosso ma la convinzione che nasce dai giorni di Pasqua – la croce è la ragione della nostra speranza. Perché la croce fiorirà. Non solo perché questa ha un termine: da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio. Al di fuori di quell’orario – lo ripeteva spesso don Tonino Bello – c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, “ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio.” Ma perché quel giorno sarà la grande rivincita di tutti i crocefissi con Gesù sulla croce nel corso dei secoli ed oggi nei nostri giorni. Questo enorme corteo di persone inchiodate sulla Croce di fronte ai nostri occhi che non vogliono vedere. Una litania infinita che l’amico Paolo Giuntella ricordava cosi: “Bambini morti di Aids, di fame, per mancanza di medicine. Prostitute ridotte in schiavitù sulle nostre strade. I cadaveri ammassati lungo il ciglio delle strade del mondo, dispersi nell’aria dalle bombe del mondo, conficcati nelle viscere della terra, i cadaveri di tutte le guerre africane, dalla Sierra Leone al Congo, dalla Liberia alla Costa d’Avorio, dal Sudan ai cantieri di morte appena chiusi, formalmente, da paci parziali. E sulle strade dell’Iraq, dell’Afghanistan, sulle piazze e le strade dove camminò l’ebreo palestinese Gesù. Gli innocenti violati dalla violenza, la malvagità senza scrupoli dei tanti erode nostri contemporanei. I milioni di poveri dei paesi ricchi e opulenti, i milioni di famiglie che vivono tirando la cinghia fino a non farcela più, i licenziati a 40 o 50 anni, i condannati alla servitù del lavoro a tempo determinato. Gli innocenti, ostie viventi tra di noi, vinti dalla malattia, dall’handicap, dalla depressione.”
Che sia questa la nostra speranza!
Auguri pasquali a tutti