Il recente viaggio del Papa in Congo ed in Sud Sudan ha avuto un’evidente funzione simbolica, trattandosi di due degli Stati più tormentati del pianeta, flagellati dalla guerra e dalla fame non meno che dalle ambizioni predatorie del colonialismo, sia quello tradizionale di matrice occidentale sia quello di nuovo conio di matrice cinese e russa.
Il Papa infatti, con parole forti e precise, ha ricordato che “dopo quello politico, si è scatenato infatti un “colonialismo economico”, altrettanto schiavizzante. Così questo Paese, ampiamente depredato, non riesce a beneficiare a sufficienza delle sue immense risorse: si è giunti al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono “straniero” ai suoi abitanti. Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati. È un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca”, e ha invocato “una diplomazia dell’uomo per l’uomo, dei popoli per i popoli, dove al centro non vi siano il controllo delle aree e delle risorse, le mire di espansione e l’aumento dei profitti, ma le opportunità di crescita della gente”.
Non sono parole di occasione, ma è la coerente traduzione del costante magistero di Francesco sulla necessità di tenere insieme l’impegno per la pace, per lo sviluppo umano, per la democrazia, per la giustizia sociale, come traduzione del messaggio evangelico rivolto all’essere umano di oggi. Non è un caso che nel Sud Sudan il Papa abbia voluto essere accompagnato dal Primate della Chiesa anglicana e dal Moderatore della Chiesa di Scozia: se tale impegno chiama in causa la vocazione dei cristiani, allora tutti i cristiani, al di là delle divisioni confessionali, debbono essere partecipi delle sue soluzioni, non per un vago ed irenico sincretismo ma per una concreta testimonianza di amore.
E’ scritto nel libro del Siracide : “Sacrifica un figlio davanti al proprio padre
chi offre un sacrificio con i beni dei poveri.
Il pane dei bisognosi è la vita dei poveri,
colui che glielo toglie è un sanguinario.
Uccide il prossimo chi gli toglie il nutrimento,
versa sangue chi rifiuta il salario all’operaio. “ (Sir 34, 24-27)
La fame di pane, di giustizia e di pace è propria di tutta l’umanità, ed il sapervi dare risposta è compito del cristiano: una risposta aliena dalla violenza, perché, come ha detto il Papa nel commiato da Juba, da una terra ferita da una guerra fratricida feroce ed incomprensibile “si deve mettere sulle ferite il sale del perdono: brucia, ma guarisce”.
Ciò non significa che non debba essere una risposta decisa, chiara e senza sconti, nel Nord come nel Sud del mondo, e richieda a tutte le forze sociali di ispirazione cristiana un di più di attenzione alle povertà e alle fragilità del nostro tempo per saperle superare insieme.