Il lavoro come benedizione e dono d’amore. Sono queste le parole che hanno guidato la riflessione di don Giovanni Nicolini, assistente spirituale delle Acli, durante il 50° incontro di studi delle Acli che si sta svolgendo alla stazione marittima di Napoli sul tema “Valore lavoro”.
Don Nicolini ha iniziato il suo intervento con la lettura del Vangelo di S. Giovanni della lavanda dei piedi, per poi proseguire con la Costituzione italiana.
“I due testi – ha detto il sacerdote – vanno tenuti insieme. Nella Costituzione si parla del diritto al lavoro di tutte le persone mentre dal Vangelo di S. Govanni emerge la dimensione del lavoro come dono da fare agli altri, un dono di carità e amore sostenuto dalla preghiera”.
Secondo Nicolini, questa concezione può essere ritrovata anche nella Costituzione, perché Giuseppe Dossetti, uno dei padri costituenti che insistè per inserire l\’articolo 1 “L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro” aveva una concezione profondamente cristiana del lavoro.
“La lavanda dei piedi – ha spiegato Nicolini – è un’immagine del lavoro, Cristo esprime la dignità del lavoro. Mentre con Adamo il lavoro era diventato una maledizione, con Cristo è una condizione paradisiaca dominata dalla carità. Il lavoro è fatica ma è anche un dono che le persone si fanno a vicenda, dalla mamma che cura i bambini alla maestra all’artista, ogni lavoro è un atto di carità che si fa verso gli altri”.
Dopo l’intervento del sacerdote, la sessione è proseguita con un breve ricordo di Giovanni Bianchi, presidente delle Acli dal 1987 al 1994 e poi politico italiano morto il 24 luglio per una grave malattia.
Di Bianchi, Franco Passuello, presidente delle Acli dal 1994, ricorda “la grande capacità di mettere in relazione le persone e di ascoltarle. Quando lo conobbi nel 1974 a un convegno a Napoli, mi colpì il suo intervento molto colto e articolato,. Giovanni è stato l’uomo della ricerca inquieta, affidabile per la Chiesa ma mai clericale. Con lui abbiamo vissuto giorni di fraternità spirituale, di rischi e iniziative per la pace”.
Il ricordo di Renzo Salvi risale all’ultimo anno di liceo classico: “Era il 1968 e nella classe più turbolenta della scuola arrivò questo professore di filosofia che pochi minuti dopo essere entrato, nell’aula si era creato il silenzio perché spiegava la storia in modo diverso, spaziava da una materia all’altra, era colto, pubblicava libri, era stato attaccato da Montanelli, reinterpretava l’Italia del dissenso”.
Su un punto i relatori concordano: la vita di Giovanni Bianchi chiede un’assunzione di responsabilità per le Acli che devono dare una testimonianza di fede come laici cristiani e devono costruire un punto di vista forte da portare nella politica che “oggi in Italia manca ed è condizionata – aveva ricordato don Nicolini nel suo intervento – solo dalla finanza, mentre compito della politica è dare proposte per la risoluzione dei problemi”.