Domenica 11 Febbraio 2018 – Anno B
Parola del giorno: Lv 13,1-2.45-46; Sal 31; 1 Cor 10,31-11,1; Mc 1,40-45
DAL VANGELO SECONDO MARCO (Mc 1, 40-45)
In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!».
E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va\’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.
COMMENTO AL VANGELO
a cura di don Antonio Agnelli, accompagnatore spirituale ACLI Cremona
Nel brano che oggi ci è offerto dalla liturgia della parola, Marco narra della guarigione di un lebbroso. i lebbrosi nella società di Gesù erano considerati come un morto nei confronti dei quali si manifestava il giudizio di Dio, essendo la loro impurità una minaccia mortale contro la vita che dipendeva dalla purità rituale della comunità e per tale motivo dovevano essere segregati per non contaminarla. la loro sofferenza era accentuata dal rifiuto e dall’obbrobrio di essere segnalati come pericolo per la vita del popolo e quindi era loro proibita qualsiasi relazione con esso. Erano scomunicati. Nulla poteva purificare un lebbroso; sarebbe stato come risuscitare un morto. i sacerdoti potevano solo dichiarare ritualmente puro chi guariva, riammettendolo nella comunità. In questo contesto dobbiamo situare l’azione di Gesù: egli anzitutto s’indigna e cura il lebbroso, violando provocatoriamente le prescrizioni rituali della purezza, chiede al lebbroso di non dire nulla ma solo di offrire un sacrificio contro coloro, che lo avevano ingiustamente escluso. Gesù quindi purifica un lebbroso toccandolo e reinserendolo nella società: ma toccandolo egli stesso per gli scribi diventa impuro ed escluso dalla vita del popolo. La purificazione del malato avviene fuori dal tempio e per opera di laico, Gesù. L’offerta che egli chiede di fare al lebbroso non ha un senso legalista, ma di denuncia contro la prassi escludente dei sacerdoti. Gesù cura un malato mostrando che questo segno messianico è pieno di umanità e compassione come lo stesso evangelista annota nel brano. Egli tocca il lebbroso e solo avvicinandosi in questo modo a lui può dimostrare la totale vicinanza di Dio a coloro che la legge considerava esclusi dall’amore risanante di Dio stesso.
La compassione di Gesù va dunque capita nel più ampio contesto della volontà divina di lottare contro tutto quello che è contrario a Dio. Come discepoli quindi dobbiamo seguire le orme di Gesù e metterci accanto a chiunque è malato, peccatore, piagato dalla vita. Stupende le parole pronunciate dal Papa nell’incontro con sacerdoti e religiosi ma applicabili a tutti i credenti in Cile, il 16 gennaio scorso: facciamole nostre nel cuore, nella mente nella testimonianza quotidiana.
“Gesù Cristo non si presenta ai suoi senza piaghe; proprio partendo dalle sue piaghe Tommaso può confessare la fede. Siamo invitati a non dissimulare o nascondere le nostre piaghe. Una Chiesa con le piaghe è capace di comprendere le piaghe del mondo di oggi e di farle sue, patirle, accompagnarle e cercare di sanarle. Una Chiesa con le piaghe non si pone al centro, non si crede perfetta, ma pone al centro l’unico che può sanare le ferite e che ha un nome: Gesù Cristo. La consapevolezza di avere delle piaghe ci libera; sì, ci libera dal diventare autoreferenziali, di crederci superiori. Ci libera da quella tendenza «prometeica di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato». In Gesù, le nostre piaghe sono risorte. Ci rendono solidali; ci aiutano a distruggere i muri che ci imprigionano in un atteggiamento elitario per stimolarci a gettare ponti e andare incontro a tanti assetati del medesimo amore misericordioso che solo Cristo ci può offrire. «Quante volte sogniamo piani apostolici espansionistici, meticolosi e ben disegnati, tipici dei generali sconfitti! Così neghiamo la nostra storia di Chiesa, che è gloriosa in quanto storia di sacrifici, di speranza, di lotta quotidiana, di vita consumata nel servizio, di costanza nel lavoro faticoso, perché ogni lavoro è “sudore della nostra fronte”». Vedo con una certa preoccupazione che ci sono comunità che vivono prese dall’ansia più di figurare sul cartellone, di occupare spazi, di apparire e mostrarsi, che non di rimboccarsi le maniche e andare a toccare la realtà sofferta del nostro popolo fedele”.