Terrorismo islamico, violenza
Di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita cristiana
«C’è un errore morale dal quale è indispensabile tenersi lontani, oggi più che mai: cedere alla logica mostruosa di associare tutti i musulmani confondendoli in un’unica esecrazione. Esiste, tuttavia, anche un altro errore, simmetrico al primo, dal quale è indispensabile guardarsi bene e con la stessa energia: quello secondo cui, per evitare l’associazione, l’islamismo dell’assassino di Samuel Paty non avrebbe niente a che vedere con l’Islam»
Così si è espresso – subito dopo il brutale omicidio dell’insegnante storia e geografia, reo di aver mostrato alcune vignette di Maometto durante la lezione di educazione civica – Bernard Henry-Lévy nel suo Appello all’Islam di Francia pubblicato da Repubblica.
Parole chiare e ferme che vanno ribadite anche dopo l’orribile strage di Nizza, consumata dentro la Basilica di Nostra Signora dell’Assunzione. Parole che ho ripetuto ai molti che mi hanno chiesto un commento (sostenere cammini di dialogo interreligioso mi mette spesso nella condizione di dovermi difendere da coloro che, giudicandomi un ingenuo, non aspettano altro per dirmi: “Hai visto?”). Parole molto più serie di quelle pronunciate da quanti (“avvoltoi” li ha chiamati Avvenire) hanno voluto strumentalmente subito evocare un rapporto tra immigrazione e terrorismo.
Quello che è certo è che episodi raccapriccianti come questi (eseguiti con una ferocia che contempla necessariamente un voluto rimbalzo mediatico) mettono ancora una volta sotto esame il rapporto tra Islam e violenza.
Che va visto e analizzato in profondità, senza banalizzare o essere troppo superficiali. Da una parte o dall’altra.
L’Islam e l’incontro difficile con la modernità
Una premessa importante che ho ribadito più volte: non si vuole certo negare i fatti sanguinosi ed efferati compiuti da uomini che si dicono mussulmani né la fatica di gran parte dell’Islam contemporaneo e delle sue guide spirituali di gestire l’incontro con la modernità. Vorrei, insieme, ricordare che l’Islam è una grande tradizione spirituale con quattordici secoli di storia e con quasi due miliardi di fedeli. L’idea che a questa religione sia essenzialmente connaturata la violenza è profondamente sbagliata da un punto di vista teorico e soprattutto è tremendamente nociva da un punto di vista pratico, perché non fa che suscitare a sua volta violenza.
Da qui il gorgo che può finire per risucchiare irrimediabilmente la vita delle giovani generazioni. È vero che nel Corano vi sono pagine violente e che la storia islamica conosce episodi violenti, ma questo vale – o è valso nella storia – per ogni espressione religiosa. La Bibbia ha pagine di violenza inaudita e sia l’ebraismo e, ancor più, il cristianesimo hanno conosciuto il fanatismo religioso e la violenza che ne promana. Lo stesso vale per l’hinduismo con l’ideologia detta hindutva. Persino il più mite buddhismo conosce oggi episodi di intolleranza in Sri Lanka e Myanmar.
La sfida culturale ed educativa a cui l’Islam è chiamato
Quando accadono fatti come questi, cerco sempre di leggere le analisi di padre Ignazio de Francesco, un monaco della Piccola Famiglia dell’Annunziata, la comunità di vita cristiana fondata da don Giuseppe Dossetti.
Padre Ignazio ha vissuto a lungo a Main, un piccolo villaggio non lontano da Madaba, in Giordania, ed è un profondo conoscitore delle fonti islamiche. In un lungo post padre Ignazio chiede a tutti noi ma in particolare alla comunità islamica di riconoscere che nessuno nasce mostro. Neanche il giovane omicida tunisino.
Per cui sostiene, non bisogna rimuovere il nodo del problema, che è educativo. Racconta che all’inizio e alla fine del mese di Ramadan i bambini del piccolo villaggio della Giordania centrale dove ha abitato, uscendo da scuola fanno a gara di sassi contro il piccolo conventino dove vive la fraternità maschile e femminile dossettiana. Si è chiesto a lungo il perché. Lavorando sui testi della tradizione islamica egli ha trovato, all’origine, parole ben diverse da quelle rilanciate da predicatori e giuristi che nutrono i sentimenti omicidi dei giovani islamici autori dei recenti efferati episodi.
Dunque, per padre Ignazio, “le orribili esplosioni di violenza che tutti esecriamo, primi fra tutti i musulmani di buona volontà, devono spingerci ad affrontare i nodi profondi del rapporto tra religione e violenza, rispetto ai quali giovani come Youssef, Ibrahim, Abdoullakh rappresentano gli anelli deboli della catena.
Essi sono come l’espressione all’ennesima potenza dei bambini che ci tirano addosso i sassi all’inizio di Ramadan, malgrado aiutiamo loro e le loro famiglie tutto il resto dell’anno. Ci vuole un’azione culturale ed educativa profonda, della quale sono i musulmani stessi a doversi fare carico per primi. Partendo da un rinnovato studio delle loro fonti, in un’ottica di contestualizzazione storica. È il senso della storia ciò che dà la forza intellettuale e morale di prendere nuovi orientamenti. “
Dall’esito di questa azione dipenderà molto del nostro futuro.