di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla vita cristiana
“In questo anno contrassegnato dall’isolamento e dal senso di solitudine causati dalla pandemia”, il virus “ha scavato nel tessuto vivo dei nostri territori, soprattutto esistenziali, alimentando timori, sospetti, sfiducia e incertezza. Abbiamo capito, infatti, che non possiamo fare da soli e che l’unica via per uscire meglio dalle crisi è uscirne insieme, riabbracciando con più convinzione la comunità in cui viviamo”. Così papa Francesco nei giorni scorsi incontrando in udienza i partecipanti all’incontro promosso dall’Ufficio catechistico nazionale della Cei nel 60° della sua istituzione. Nel riprendere le proprie parole al Convegno ecclesiale di Firenze, il Papa ha poi continuato: “Desidero una Chiesa “sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti”. […] Una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza”. “Dopo cinque anni – ha concluso a braccio -, la Chiesa italiana deve tornare al Convegno di Firenze e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare”.
Sarà difficile per la Chiesa italiana non fare i conti con parole come queste. Un invito – chiaro e senza troppi giri di parole – ad avviare un percorso sinodale che metta al centro, in un discernimento comunitario, la postura più adeguata per dire il Vangelo dentro questo tempo segnato da un vero e proprio “cambiamento d’epoca”. Perché questo – ha detto con forza papa Francesco all’udienza – è “il tempo per essere artigiani di comunità aperte” e “missionarie”, di “comunità che guardino negli occhi i giovani delusi, che accolgano i forestieri e diano speranza agli sfiduciati. È il tempo di comunità che, come il Buon Samaritano, sappiano farsi prossime a chi è ferito dalla vita, per fasciarne le piaghe con compassione”.
Un Sinodo dunque per mettersi in ascolto – vero, autentico – delle parole delle donne e degli uomini di oggi, delle loro fatiche e delle loro speranze.
Per realizzare, finalmente!, l’incipit, magnifico, della Gaudium et Spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.”
Eppure Luigi Accattoli, vaticanista di lungo corso e di valore, nel suo blog ha scritto che il Sinodo, che egli ritiene necessario, non si farà sotto questo pontificato. “La nostra comunità ecclesiale è ricca di vita, sia nell’attestazione della fede di fronte alle prove dell’esistenza e di fronte alla morte, sia nella pratica della carità. Ma è debole di parola ad extra e debolissima nel prendere decisioni sulla propria vita interna. La convocazione di un Sinodo nazionale potrebbe costituire una spinta al risveglio in queste due direzioni, ma pare destino che non ci si arrivi e tra i motivi c’è – a mio parere – la mancanza di sintonia tra il Papa e l’episcopato. Francesco vuole una “conversione” di tutti gli aspetti della vita ecclesiale in vista dell’uscita missionaria ed esorta i vescovi a prendere decisioni coraggiose: “Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”, disse a Firenze. I vescovi invece hanno paura di innovare e, ancor più, di farlo con libertà. Il Papa dice “incominciate a camminare” e i vescovi restano fermi in attesa di istruzioni sul cammino da compiere.”
Il tempo dirà se Accattoli ha visto giusto oppure no. Quello che è certo è che – come Chiesa –non siamo proprio abituati a discutere e a confrontarci. A tutti i livelli. Non credo sia il caso di fare esempi perché, credo, li abbiamo in mente tutti. La storia che abbiamo alle spalle ma anche la cronaca di questi anni raccontano di un’oggettiva difficoltà a far crescere luoghi autentici, non paludati, di ascolto e dialogo. Per molte ragioni, quest’attitudine è spesso assente nella prassi (non nelle parole!) delle comunità cristiane. Lo ricordava qualche anno padre Bartolomeo Sorge: “Manca, nella Chiesa, un vero dialogo: dei vescovi con la Curia romana, delle comunità locali con i loro pastori e, più in generale,della gerarchia con i fedeli laici… Si decide ancora tutto dall’alto. Perciò, al posto della parresia evangelica, crescono nella Chiesa il silenzio e il disinteresse dei fedeli. Non parla più nessuno.”
Alla Chiesa che è in Italia servirà certamente un Sinodo. Servirà più ancora far crescere uno stile sinodale. Lo ha scritto nei giorni scorsi il cardinal Bassetti: “L’ascolto attento di questo tempo esige servizio e comunione. È lo stile sinodale che coinvolge i vari organismi (i Consigli pastorali, i Collegi di consultori, i Consigli presbiterali..) per arrivare poi agli eventi”.
Sarebbe ora di cominciare.