Qui di seguito l’intervista al Presidente Emiliano Manfredonia pubblicata oggi su Famiglia Cristiana
Le Acli festeggiano gli 80 anni. Nacquero da un’intuizione di Achille Grandi, il politico e sindacalista italiano cofondatore della Cil e della Cgil, deputato del Partito Popolare e della Dc, mentre il nome, acronimo di Associazioni cristiane dei lavoratori italiani, venne scelto da Vittorino Veronese, già banchiere, presidente dell’Azione cattolica e direttore generale dell’Unesco. Nonostante vi fossero state più di una riunione preparativa, la data di fondazione è il 28 agosto del 1944, nella fase furiosa anche se declinante della guerra, al termine di due giorni di intenso dibattito (a cui partecipano il fratello di papa Montini Ludovico e Giulio Pastore, fondatore della Cisl) nel salone dei Domenicani della chiesa di Santa Maria sopra Minerva, a pochi metri di distanza da quell’Hotel Minerva in cui, nel 1919, don Sturzo aveva dato vita al Partito popolare. Una novità Assoluta nell’ambito dell’associazionismo cattolico in quanto organizzazione autonoma e democratica e presenza cristiana nel mondo del lavoro, l’universo in cui si muove ancora oggi. «Senza mai dimenticare il contesto storico in cui opera questa realtà», spiega l’attuale presidente Emiliano Manfredonia. «Tra l’altro l’anniversario coincide anche con l’anno congressuale in cui rinnoveremo i nostri vertici. Vogliamo dare un segno vivo a questa ricorrenza: chiederemo un’udienza con papa Francesco e un incontro col Capo dello Stato, le nostre due stelle polari. Vorremmo che le Associazioni vivessero dodici mesi di impegno forte e costante, come negli ultimi tempi».
Ultimi in tempi in cui sono aumentate le povertà, i disagi, con un’economia che stenta a riprendersi dagli anni della pandemia, un’inflazione che morde e sempre più famiglie nella morsa dei debiti.
«È vero sono stati e sono anni durissimi. Tutto il sistema Acli, cui fanno capo circa 900 mila persone tra iscritti, volontari e funzionari dei vari patronati, delle ong e dei circoli, si è sentito in prima linea in tutto il Paese. Senza dimenticare che siamo presenti in 23 Paesi del mondo, dall’Argentina al Madagascar».
Il lavoro resta il vostro orizzonte di riferimento?
«Non c’è solo il lavoro. Se c’è una cosa che rivendico della mia presidenza è quella di un’associazione “popolare” che cerca di vivere una dimensione di cristianesimo integrale. Nel nostro simbolo c’è una Croce e non dobbiamo dimenticarlo mai. Ecco perché siamo tornati a manifestare nelle piazze per la pace. Abbiamo partecipato alla Perugia-Assisi e siamo andati in Ucraina. Anche l’accoglienza ai migranti fa parte del nostro impegno. Siamo tornati sul campo insomma. Prima eravamo molto bravi nell’impegno culturale e sociale, ma questo non poteva bastare. Ora mettiamo al centro le ferite delle persone».
Tutto questo non vi espone ad accuse di strumentalizzazione politica?
«Più che di strumentalizzazione tornare sul campo significa rischiare di litigare con la politica, con il Palazzo. Facciamo fatica ad interpretare alcuni provvedimenti come la soppressione del Reddito di cittadinanza. Ma abbiamo avuto screzi anche con il governo Draghi».
Chi sono i vostri interlocutori privilegiati?
«Certamente la Caritas. Ma abbiamo un rapporto culturale anche con Pax Christi, con l’Azione cattolica, con il Movimento cristiano lavoratori, con l’Agesci, con la Sant’Egidio, con Rinnovamento dello Spirito e con i Focolarini, insomma con l’associazionismo cattolico e comunitario. Ma anche con il mondo laico continuiamo a tenere ottimi rapporti, a cominciare dall’Arci, con cui abbiamo fatto battaglie molto importanti. Col Terzo settore poi ci sentiamo un po’ i loro cugini, abbiamo combattuto molte battaglie sociali insieme. E non dobbiamo dimenticare i sindacati e l’Associazione nazionale partigiani d’Italia, perché se la dottrina sociale della Chiesa è la nostra stella polare la Costituzione è la nostra via maestra».
Che rapporti avete con la Chiesa?
«Non dobbiamo dimenticare che il nostro accompagnatore spirituale è il gesuita padre Giacomo Costa, Segretario Generale dell’Assemblea dei vescovi e segretario generale del Sinodo. Padre Giacomo ci ha permesso di entrare in modo attivo nel Sinodo di Francesco e di cambiare il nostro metodo di lavoro: per esempio abbiamo introdotto la conversazione spirituale anche nei nostri dibattiti».
Quali sono le sfide delle Acli per il 2024?
«Continueremo a fare da pungolo verso la politica per indurla a fare le scelte migliori. Attualmente non si vedono scelte di politiche strutturali. Vediamo un Paese affaticato. Eppure gli strumenti per la ripresa ci sono».
E quali?
«Mai abbiamo avuto grazie al Pnrr tanti miliardi per lo sviluppo del Paese. Il problema è capire se e come verranno spesi e se creeranno valore aggiunto. Ci vuole un cambio di paradigma di tipo culturale. Non solo per la crescita ma anche per la sostenibilità.
Un tema molto di moda …
«Io il valore della sostenibilità lo sento molto. Però significa un cambio di prospettiva, un’apertura al prossimo, un’uscita dall’individualismo imperante. Come nei confronti dell’immigrazione, che è una risorsa e non un’invasione come ci fanno credere. L’individualismo tocca anche la violenza di genere. E anche questa è una sfida per le Acli. Ma abbiamo bisogno di dare risposte collettive e mai individuali. La difficoltà grande che vedo è che la cultura “mainstream” alimenta un individualismo dilagante. E invece c’è bisogno di compatire le fatiche e le speranze. Solo così possiamo diventare più competitivi e più cooperativi».
Cosa vi ha insegnato la dottrina sociale di Francesco?
«Francesco ci ha lasciato un grande insegnamento nel messaggio alle Acli di Roma: “non cercate la produttività ma la generatività”. E si genera se si è in due. E un fattore che un’associazione popolare che promuove la vita deve tenere sempre presente».
C’è una crisi dei cattolici in politica?
«Bisogna distinguere da quelle che sono le richieste più o meno giuste di formazione, che si richiamano al cattolicesimo democratico e sociale (il cosiddetto pre-politico) e la presenza di cattolici nelle istituzioni e nella politica, che va vissuta come forma più alta di carità come dice Paolo VI. In questo caso i cattolici sono tutt’altro che irrilevanti. Pensiamo a Mattarella o a Draghi, cattolici dichiarati. I cattolici, quando ci sono, si fanno vedere e sentire. E poi vedo anche tanti germogli nella mia associazione. C’è una funzione sociale ed educativa che ancora oggi svolge il mondo cattolico. E quando tu educhi fai politica. Direi che il mondo cattolico ha ancora tanto da dare. Stanno spuntando tanti germogli. E spesso chi si lamenta è quello che vede solo sé stesso e calpesta questi germogli».
Un suo proposito per questo 2024?
«Sarò anche ingenuo: ma è la pace. Una presa di coscienza seria sulla diplomazia affinché si possa vedere la cessazione dei conflitti che infiammano e devastano il mondo, a cominciare da quello ucraino e mediorientale».