La differenza tra rappresentanza e rappresentatività è la politica. Beppe Grillo immagina dei parlamenti perfettamente rappresentativi del corpo elettorale grazie a un meccanismo a sorteggio: ma se così fosse, dovremmo dire addio alla politica e, probabilmente, anche alla libertà.
La rappresentatività indica la corrispondenza tra le qualità degli elettori e le qualità degli eletti. Questo significherebbe che se in Italia il 51% è donna, allora anche il parlamento dovrebbe riprodurre la stessa percentuale. E questo varrebbe per l’età, il titolo di studio, la provenienza nord sud, la professione e quant’altro: il 10% degli italiani è operaio? Benissimo, in parlamento il 10% sarà operaio.
Pertanto a seconda delle qualità che si scelgono, si compone l’assemblea rappresentativa. La legge elettorale – su cui si perde tanto tempo ogni anno a discutere – sarebbe sostituita da un sorteggio (che tra l’altro costa pure meno di una campagna elettorale). E le opinioni e le idee? Nell’epoca post-ideologica sono tutte morte, tanto non sono più in grado di spiegare il mondo.
La dimostrazione sta sia nei partiti, che continuano a cambiare nome e simbolo, sia nel corpo elettorale, che vota sempre meno e manifesta sentimenti di rancore verso i partiti medesimi. Pertanto, nella logica della rappresentatività, il parlamento è un campione rappresentativo dell’universo italiano, senza alcuna caratura ideologica.
Nella logica della rappresentanza, invece, questa corrispondenza è auspicabile ma non necessaria, perché conta il saper rappresentare opinioni, valori, interessi attraverso gruppi di cittadini. Siccome, oltre al destino individuale o familiare, abbiamo tutti un destino comune, un’appartenenza allo stesso territorio, a uno stesso sistema economico, a un medesimo complesso di regole e a una storia che ci accomuna, allora non è affatto indifferente che chi si propone a governare manifesti certe tendenze piuttosto che altre, che le possa confrontare nel dibattito pubblico (le campagne elettorali, in particolare) e che misuri il grado di consenso al suo programma e alla sua narrazione delle cose.
La politica – una buona parte della politica – tutta sta lì. Nella logica della rappresentanza, il parlamento si compone di chi è portatore delle idee e dei sentimenti che più convincono l’elettorato. Si dirà che questa legge elettorale non facilita tale traduzione. E questo è vero. Ma può essere sempre rivista così come andrebbe ripensata la disciplina giuridica dei partiti politici e i modi con cui si svolge la campagna elettorale.
Dire che c’è bisogno di rivedere e di mettere a punto questi fondamentali elementi è necessario. Ma questi elementi critici non possono mettere in discussione il cardine della democrazia rappresentativa, ovvero il libero dibattito e l’esistenza dei corpi intermedi che lo animano. Pena la messa in discussione del principio di libertà.
Churchill, è notissimo, affermava che la democrazia è la peggior forma di governo eccezion fatta per tutte le altre finora sperimentate. La democrazia che intendiamo noi, a parte piccole enclave dove si può sperimentare la democrazia diretta, richiede un suo armamentario che – può piacere o no – garantisce la libertà: i partiti e i corpi intermedi, il dibattito e le campagne elettorali, le discussioni accese e le elezioni, la delega politica e il parlamento. Comprende anche le disfunzioni e gli aspetti critici, perfino le emozioni: sì, la democrazia è anche un po’ emotiva.
Nelle grandi entità si possono certamente sperimentare forme di partecipazione diretta in molti campi, dal fisco alle scelte di politica economica, dai referendum agli istituti di partecipazione diretta. Ma è il sistema complessivo che conta.
Si deve decidere se l’architettura è fondata su un imperfetto sistema di relazioni tra cittadini, istituzioni sociali, economiche, politiche e religiose oppure su un perfetto sistema algoritmico che rispecchia una realtà ricostruita dai big data: non dovremmo avere molti dubbi…
La politica sta nella rappresentanza e l’impolitica nella rappresentatività. Il rischio da scongiurare è la rappresentazione, anche se democratica: il teatrino politico dove le marionette si muovono guidate da qualche mano invisibile e perciò sconosciuta.
Come dichiara Yuval Noah Harari, la democrazia liberale confida nei sentimenti degli esseri umani; questo funziona fino a quando qualche algoritmo non li capisce meglio di te e di tua madre: a quel punto la democrazia liberale diverrà simile a uno spettacolo di marionette.