Il 14 ottobre nella chiesa di San Cristo a Brescia si è tenuto il convegno “Trent’anni di impegno in Bosnia Erzegovina: per quale futuro?”, organizzato da IPSIA (Istituto Pace Sviluppo Innovazione Acli) e dalle Acli di Brescia con il patrocinio della città.
Oltre 30 anni fa iniziava il conflitto in Bosnia Erzegovina che con i suoi 100.000 morti, di cui almeno 40.000 fra i civili, riportò la guerra in Europa, a pochi chilometri da casa nostra e di fatto segnò in maniera indelebile la generazione che “andava al mare in Jugoslavia” e sancì immediatamente la fine delle illusioni di coloro che credevano che con la fine del “socialismo reale” e l’inizio di quella che Fukuyama chiamò “fine storia” sarebbe iniziato un periodo di pace e prosperità per il mondo intero fondato sul libero scambio e la democrazia.
Al convegno Refik Hodzic ha descritto la difficile situazione in cui versa oggi la Bosnia, un Paese la cui età media è di 29 anni per cui la maggioranza è nata dopo conflitto e oggi in massima parte emigra o viene nutrita dal veleno della guerra e da chi lo alimenta, senza conoscere la guerra stessa. Don Fabio Corazzina e Agostino Zanotti hanno ripercorso l’esperienza e l’impegno verso la pace delle organizzazioni nei campi profughi, ma anche nei tentativi di costruire, a rischio della propria vita, una diplomazia dal basso. L’ambasciatore Minasi, oggi referente dell’Unità di Crisi del Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, ha sottolineato l’importante lavoro svolto dalle ONG e da IPSIA in quei territori. Federico Reggio, docente di filosofia del diritto dell’Università di Padova ed esperto di giustizia riparativa, ha delineato i fondamenti della restorative justice, come processo per superare e prevenire i conflitti. Gli interventi, moderati da Silvio Ziliotto del direttivo di Ipsia Nazionale, sono stati inframmezzati dalle “incursioni” di Silvia Maraone, Daniele Socciarelli e Laura Hein che, nel descrivere le esperienze progettuali di Ipsia, hanno aiutato a cogliere le sfide dell’oggi.
Il Presidente Nazionale di Ipsia, Marco Calvetto, ha concluso ricordando che “i conflitti dell’Ex Jugoslavia furono conflitti “identitari” conseguenti allo sgretolamento del blocco sovietico. In quegli anni tragici emersero tutti quegli elementi che hanno caratterizzato gran parte dei conflitti successivi e anche quelli a cui, purtroppo, assistiamo in questi giorni. Per questa ragione è sempre più necessario continuare a studiare e a riflettere su quanto successo e su quanto ancora avviene. Oggi memorie parziali spingono le persone a identificarsi in narrazioni identitarie che negano l’altro e il diverso – ha continuato Calvetto – considerandolo come un nemico da cui difendersi o da eliminare. È un processo che si può leggere sia nei conflitti in corso, che così fondati non lasciano spazi a risoluzioni o mediazioni, sia nelle politiche disumanizzanti di molti Paesi. La missione di Ipsia resta così quella di continuare ad offrire occasioni di conoscenza e di volontariato in Italia e nel mondo per aiutare a identificare cosa unisce e non cosa divide e nel realizzare progetti di sviluppo fondati sulla giustizia riparatrice.
Aleksandar Hemon scrisse che a Sarajevo successe esattamente tutto quello che tutti dicevano non potesse accadere. Resta un monito per noi, impegnati nel cercare soluzioni non violente ai conflitti ma anche nella rimozione di tutto ciò che li alimenta, a cominciare dalle politiche disumanizzanti”, ha concluso Calvetto.