L’immigrazione non è la principale preoccupazione degli italiani. I timori economici prevalgono quasi sempre sui timori securitari. Anche nella ricerca Ipsos pubblicata a fine 2017, ovvero al netto della campagna elettorale, le apprensioni economiche degli italiani arrivavano prima di quelle legate alla sicurezza. Tra l’altro, approfondendo il tema della sicurezza, si osserva come esso si colleghi anzitutto alla criminalità generica (scippi, furti… peraltro in calo da anni), al terrorismo e – solo al terzo posto – all’immigrazione (e a seguire con la corruzione, la mafia e la violenza fisica: strano, la mafia percepita come meno grave di altri fenomeni…). Dunque il legame tra sicurezza e immigrazione non è così indiscusso. Eppure nel discorso pubblico non si parla d’altro. Potremmo dirla così: la sicurezza non è la prima preoccupazione degli italiani, la criminalità è in calo in tutta Italia, gli sbarchi sono calati in maniera vistosissima (dell’80% nel 2017), eppure tutta la scena politica è occupata dall’immigrazione. Peraltro si tratta di un tema destinato a rimanere in scena per molti anni: sia perché l’Africa preme (la demografia è sempre una variabile decisiva) sia perché la politica amplifica.
Ma mettere al primo posto dell’agenda politica il tema dello straniero è pericoloso. Anzitutto perché tutta la vicenda italiana non sta lì. Il sistema-Paese, per andare avanti e crescere, ha bisogno di rivedere altre politiche, a partire da quelle industriali. Deve rafforzare il suo impianto di istruzione e formazione per plasmarlo alle necessità attuali. Può ripensare al suo sistema fiscale e renderlo un volano per gli investimenti in infrastrutture e in forme di sicurezza sociale. È inutile fare l’elenco: tutti sappiamo cosa servirebbe a questo Paese per svilupparsi e garantire un futuro ai nostri figli. L’immigrazione è una delle tante questioni, che va vista in collegamento con tutte le altre.
Ma mettere al primo posto dell’agenda politica il tema dello straniero è pericoloso anche sul piano simbolico, perché la figura dello straniero come pericolo è come un animale mai sazio, che si ciba di distinguo e di parole non dette o indicibili, di pulsioni e di rancori; è un tema che recupera forze residue e genera una società diffidente e minacciosa che, alla fine, si vedrà costretta a “mangiarsi l’altro” per difendersi in modo definitivo. Questo è un tema da maneggiare con molta cura: anche la Bibbia assume un atteggiamento attento e guardingo. Non c’è altra soluzione.
Il caso dell’Aquarius ha messo in luce una postura molto diversa da quella che finora l’Italia ha tenuto in rapporto all’immigrazione e allo “straniero”: forse si è entrati in una nuova età politica e culturale che ci sposta su un altro versante, che ci fa vedere le cose in modo diverso. Eppure la realtà ci dice anche altro. Il Ministro degli interni ha un’occasione straordinaria: se da una parte è sempre opportuno ricordare all’Europa i suoi doveri verso l’Italia (che ha una esposizione di confini non certo paragonabile a quella di altri Stati), e sempre doveroso punire i traffici illeciti e immorali, dall’altra può evidenziare le buone pratiche di molte amministrazioni locali e di “secondo welfare” che sono state capaci di generare ordine e pace sociale, nei mari e in terra. Sono tutte buone notizie pubblicate da molti organi di stampa e di comunicazione. È una esperienza, è una realtà, reale tanto quanto gli sbarchi.
Non dobbiamo lasciar cadere o sottovalutare la questione dell’immigrazione, perché la mancata gestione è socialmente rischiosa (anche se al momento non è certo il caso dell’Italia). L’immigrazione è, semplicemente, una questione da amministrare. Per amministrare positivamente questo fenomeno occorre capire quale “copertura culturale” sollecitare. Finora la cultura dell’emergenza ha convissuto con quella di matrice solidale (e, per certi aspetti, anche creativa). Occorre passare dall’emergenza all’esperienza conservando la matrice solidale ed evitando di farsi tentare da matrici più aggressive, disperate e pericolose.