A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita Cristiana
Suore arrestate negli US
La notizia e la foto hanno fatto il giro del mondo: settanta persone fra le quali alcune Sorelle della misericordia, di cui una di 90 anni, sono state arrestate nei giorni scorsi dalla polizia a Washington mentre manifestavano contro le politiche migratorie degli Stati Uniti. I manifestanti avevano occupato una sala del Senato, il Russell Senate Office Building, in quella che hanno definito come “Giornata cattolica di azione per i bambini immigrati”. La suora di 90 anni, suor Pat Murphy, ha dichiarato che la situazione nei centri di detenzione degli immigrati è “immorale” e ha sottolineato che ciò che sta accadendo al confine con il Messico è «una situazione abominevole».
Le monache italiane e la loro lettera
È di una decina di giorni fa, la pubblicazione della “Lettera Aperta” di 62 monasteri claustrali di Ordini diversi (in terra bergamasca hanno aderito le Clarisse di via Lunga e di Lovere) inviata al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio sul dramma dei migranti. Anche il nostro sito l’ha pubblicata. Un testo bellissimo, da leggere e far risuonare nelle nostre eucarestie domenicali. Che ha il coraggio del Vangelo, la forza del grido e della parola in nome di chi non può gridare e parlare:
Con questa lettera aperta vorremmo dare voce ai nostri fratelli migranti che scappano da guerre, persecuzioni e carestie, affrontano viaggi interminabili e disumani, subiscono umiliazioni e violenze di ogni genere che ormai più nessuno può smentire.
Le monache citano la loro “semplice vita di sorelle” per testimoniare che “stare insieme è impegnativo e talvolta faticoso ma possibile e costruttivo. Solo la paziente arte dell’accoglienza reciproca può mantenerci umani e realizzarci come persone”. Senza nessuna ingenuità, nella convinzione che “una solidarietà efficace e indubbiamente ben organizzata” possa “arricchire la nostra storia e, a lungo termine, anche la nostra situazione economica e sociale”.
L’ingenuità di chi si preoccupa di chiudersi
Le religiose considerano “ingenuo” il contrario: vale a dire, credere che una civiltà che chiude le proprie porte sia destinata a un futuro lungo e felice; una società tra l’altro che chiude i porti ai migranti ma, come ha sottolineato Papa Francesco, “apre i porti alle imbarcazioni che devo caricare sofisticati e costosi armamenti”. E poi l’appello, forte e deciso a Mattarella e Conte: “Osiamo supplicarvi: tutelate la vita dei migranti!”.
Tramite voi chiediamo che le istituzioni governative si facciano garanti della loro dignità, contribuiscano a percorsi di integrazione e li tutelino dall’insorgere del razzismo e da una mentalità che li considera solo un ostacolo al benessere nazionale.
Cosa spinge donne che hanno interamente consacrato la loro vita a Dio e alla preghiera di lode e di intercessione a parlare in modo così diretto attorno ad un tema oggi profondamente divisivo per coloro che partecipano alle assemblee eucaristiche domenicali? Il Vangelo.
Solo il Vangelo. Prima di Salvini
Semplicemente il Vangelo. Non ci stancheremo di ripeterlo. Prima ancora che il rapporto carità/giustizia per la vita di un credente dovrebbe essere fondante il rapporto carità/fede. Cosa vuol dire fare la carità per un cristiano cioè un credente nel Dio di Gesù Cristo? È ovvio, pare a molti: fare del bene. Ma la cosa è meno ovvia di quanto si creda.
Stiamo alla vicenda dei migranti: come bisogna porsi di fronte a loro? Prima o dopo, chi se ne occupa dovrà rispondere a questa domanda: chi è per me quella persona: uno straniero che non c’entra niente con la mia vita? Un nemico che può mettere a rischio il mio futuro? Un bisognoso che va aiutato? O un figlio di Dio come me, che chiede a ciascuno di noi di essere trattato per quel che è nella fede e cioè mio fratello? La carità non è anzitutto un modo di fare, ma un modo di vedere.
La carità – ci dice il Vangelo (che più di Salvini dovrebbe essere il riferimento per la vita del credente) -non consiste forse nel vedere Gesù nel povero (“la carne di Cristo”, l’ha chiamato papa Francesco) e accoglierlo come sua immagine? Forse poi riuscirò a fare poco per lui, perché magari sono povero anch’io ma almeno gli avrò riconosciuto il massimo della dignità umana e cioè l’immagine e la figliolanza divina.
Fare tutto quello che ognuno può
Dunque, il problema delle migrazioni (così come quello della povertà e dell’ingiustizia) può andare ben oltre le possibilità individuali di governarlo. Ma a noi come cristiani è chiesto di fare solo e tutto quello che possiamo fare. Non era scritto nell’anello regalato a Schindler che chi avrà salvato un solo uomo avrà salvato tutta l’umanità? Ebbene è il momento che di fronte ad un fenomeno complesso come quello delle migrazioni ognuno sia chiamato a fare la sua parte. Non è in fondo un atto di fede prima ancora che di carità accogliere il povero Cristo che bussa alle nostre porte?
Sono domande aperte che chiedono di essere assunte – e non ignorate – dall’intera comunità cristiana. Che non dovrebbe anzitutto preoccuparsi di ciò che pensa il politico di turno. Anche se parla di Madonne e agita corone del Rosario. Né farsi sedurre da parole e slogan che dimenticano il volto e l’umanità delle persone. Dovrebbe, piuttosto, avviare un serio discernimento che metta in gioco, insieme, la fedeltà al Vangelo, l’opzione preferenziale dei poveri, l’analisi seria del presente e la forma della cittadinanza per una traduzione dei valori dentro la società plurale. Una mediazione che intrecci profezia e sapienza e custodisca, nella città di tutti, la differenza cristiana.
È quello che hanno fatto le Sorelle della Misericordia a Washington ed è quello che hanno scritto molte Claustrali in tutta Italia. Ci hanno ricordato che – se siamo cristiani – vale più il Vangelo del buon senso. Costi quel che costi.