La tragedia di questi mesi, in mezzo a tanto dolore, ci consegna delle domande impegnative. Una tra tutte riguarda quanto nell’impatto umano ed ora economico abbiano inciso i deficit costituzionali del nostro frammentato sistema di welfare. Non si può certo scaricare il tutto su questo aspetto, ma neanche non riconoscere che una forte dose di impreparazione e di fragilità abbia certamente inciso. Li definisco deficit “costituzionali” perché in questi anni ci siamo occupati molto del decreto legislativo 117 (del 2017: la riforma del Terzo settore, ancora abbondantemente da far partire) e forse è sfuggita spesso all’attenzione pubblica l’inadempienza dell’art. 117 della Costituzione, laddove (comma m), impone (o imporrebbe) di determinare i livelli essenziali delle prestazioni a garanzia dei diritti civili e sociali delle persone, ovunque. Quanto paghiamo oggi anche in termini di profonda recessione questa distrazione collettiva?
Ne è emerso un welfare che solo la generosità può definire bricolage, perchè almeno in un bricolage i pezzi li trovi tutti, qui invece spesso mai o non per tutti; e il gioco dei frammenti spesso nutre un privato speculativo. E stupisce che anche oggi non si veda questa evidente e cronica criticità, frutto della logica del massimo ribasso (ergo bassa qualità) che tante responsabilità ha nei ritardi e nell’immobilità sociale del Paese. E stupisce non se ne faccia una priorità non solo per urgente necessità, ma in quanto opportunità di sviluppo (sostenibile) ed occupazione di qualità, pensando anche a un vero e proprio piano industriale, pubblico e sociale, che elevando il livello dei diritti faccia da volano a un’economia intelligente e di qualità. Il welfare resta nel capitolo delle toppe e non in quello degli investimenti e della lungimiranza. Come nelle tante discussioni sulle misure per il rilancio è del resto sparita la comunità, dimentichi che lo sviluppo locale, coi tanti distretti, tipicità, patrimoni industriali e culturali, ha sempre fatto la differenza in gran parte delle nostre eccellenze. O più che sparita la comunità torna nel discorso politico attuale solo quando si deve parlare di emergenza, solidarietà, buon cuore ecc… cose importanti eccome, ma che da sole rischiano di preludere ancora una volta a uno sviluppo calato dall’alto o peggio avocato a grandi interessi e soggetti, sovente più dediti ad estrarre valore dal territorio che a crearlo.
Ecco allora che torniamo a dire e a fare “SU LA TESTA”, la rete delle cooperative sociali promosse o che collaborano con le ACLI.
A rimarcare quanto sia ancora più necessario, per affrontare un presente che pare sempre più provvisorio, cercare insieme il futuro, per meglio generare e sostenere strategie che possano rendere le persone, le organizzazioni e le comunità autori, e non comparse, del proprio destino.
Ecco allora un percorso che parte l’8 luglio e intende mettere a tema il futuro o, meglio, i possibili futuri, accompagnando i partecipanti con metodi che si rifanno all’ambito dei futures studies e alla metodologia degli scenari, dei laboratori di futuro che avranno l’obiettivo di sviluppare e condividere strumenti e competenze di tipo predittivo ed integrare e arricchire i processi decisionali all’interno delle proprie organizzazioni.
Stefano Tassinari
Vicepresidente nazionale ACLI Responsabile Terzo settore