A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita Cristiana
Incontro un amico prete, parroco da molti anni, uomo di Vangelo, con una rara capacità di ascolto e di discernimento. Mi racconta, amareggiato, che non è raro sentire gli adolescenti che frequentano il suo oratorio rilanciare le accuse di pedofilia alla Chiesa. “Un tempo, mi dice sconsolato, ci accusavano di ricchezze e di potere, ora di abusi”.
Durante i suoi ultimi esercizi spirituali gli è capitato di confidare la sua amarezza nel vedere la polarizzazione in atto nella Chiesa al religioso che dettava le meditazioni quotidiane. Questi, incoraggiato dalla trasparenza del mio amico, gli risponde che, a suo dire, molto di questa situazione sia dovuta al pontificato di Papa Francesco. Al termine, consiglia al mio amico, alquanto sorpreso dall’andamento del colloquio, di visitare un sito online dichiaratamente ostile a papa Bergoglio.
Un crollo verticale e una crisi senza ritorno
Sull’ultimo numero de “La vita Diocesana” viene riportato il numero delle religiose presenti nella nostra Diocesi. Le cifre si riferiscono al settembre del 2014 e dunque sono certamente in difetto. A quella data, c’erano 1872 suore: la metà di loro ha più di 81 anni. Quelle sotto i 50 anni sono solo 76. Ciò a cui stiamo assistendo dunque non è un declino ma, a meno di clamorose inversioni di marcia, ad un vero e proprio crollo, che porterà a breve alla fine di una presenza – quella delle “suore” – che è stata fino a pochi anni fa multiforme e capillare: nei paesi, nelle scuole, negli ospedali.
Sono segnali, tra i tanti, di un cambiamento radicale in atto nella nostra Chiesa bergamasca. Molti dalle nostre parti erano convinti che la crisi fosse passeggera: bastava pazientare un poco, tornare a proclamare con chiarezza e forza la verità e i valori ad essa connessi, in particolare quelli relativi al dogma e alla morale, sottaciuti alquanto – dicevano questi – da una certa predicazione e catechesi “troppo conciliare”, e tutto sarebbe tornato come prima.
Invece ci sta sempre più rendendo conto che qui da noi sta franando un mondo. Di colpo. Per chi voleva vederli, i segnali erano evidenti da tempo. Quello che è certo è che noi siamo inesorabilmente gli ultimi testimoni di un certo modo di essere cristiani. E inevitabilmente la Chiesa è destinata a mutare il suo volto i cui contorni prossimi sono ancora imprecisi.
La deriva verso l’indifferenza
Anni fa mi capitò di leggere un libretto di un teologo domenicano raffinato, Jean Marie Tillard. Il titolo del testo, scritto un anno prima della morte, avvenuta nel 2000, era “Siamo gli ultimi cristiani?” (Queriniana). Con lucidità, scriveva:
I catecheti impiegano tutte le loro energie a parlare di Cristo davanti a uditori che sbadigliano, perché non sono interessati a quanto si dice. I banchi delle chiese sono sempre più vuoti e occupati da persone dai capelli sempre più bianchi, tanto che si arriva a sopprimere delle parrocchie. Nell’insieme, tutta una generazione (quella che costituirà la carne delle società nei prossimi decenni) scivola lentamente non verso l’aggressività verso la chiesa, ma (ed è più grave) verso l’indifferenza”.
Come a dire che l’attuale cambiamento storico è profondo e non superficiale; irreversibile e non provvisorio e apre una nuova pagina di storia dell’umanità. In questa pagina, noi non siamo gli ultimi cristiani ma gli ultimi testimoni di un certo modo di essere cristiani. Per questo non ha più senso voler copiare le stesse parole delle pagine precedenti: è invece necessario far vivere lo stesso spirito. Ecco perché anziché difendere e spendere tempo e energie per tante cose secondarie sarebbe opportuno cominciare a riscoprire e far rivivere quelle essenziali, e solo quelle. Come un pellegrino che deve compiere un lungo cammino e mette nella sua bisaccia tutte e solo le poche cose che contano.
Dunque in mondo sempre più secolarizzato, le Chiese – ridotte a piccoli resti di credenti convinti praticanti la loro fede – saranno chiamate a raccogliersi attorno all’essenziale: la Parola di Dio, la cura liturgica che ha il suo cuore nell’eucarestia, la passione per la città.
Il resto conta poco. Forse a riempire le giornate di chi fa fatica a stare dentro questa transizione. Certo, non a dare speranza ad un tempo che di speranza ha straordinario bisogno.