I nostri padri costituenti lo avevano anticipato, assegnando, in una Repubblica fondata sul lavoro, una rilevanza fondamentale al «diritto ad una retribuzione proporzionata» e, in ogni caso, «sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». Ormai da qualche settimana, in questo senso, il dibattito pubblico e politico si è finalmente concentrato sul tema del salario minimo con la presentazione di un testo da parte delle opposizioni su cui sembra ci possa essere un’apertura da parte del Governo. Non si può tergiversare su una questione come questa: c’è bisogno di risposte efficaci e radicali, c’è bisogno di riforme serie che possano davvero garantire una retribuzione giusta per i lavoratori e permettere alle loro famiglie di vivere in maniera dignitosa, valorizzando la migliore tradizione della nostra contrattazione collettiva stipulata dalle organizzazioni maggiormente rappresentative.
Oggi è il lavoro povero una delle grandi questioni irrisolte del nostro Paese. Come evidenziato dalla ricerca “Lavorare pari: dati e proposte sul lavoro tra impoverimento e dignità”, realizzata dall’Area Lavoro delle Acli in collaborazione con l’Iref e il Caf Acli e che ha analizzato oltre 760mila dichiarazioni dei redditi 2021, emerge che il 14,9% dei dichiaranti, pur lavorando, ha un reddito inferiore o pari a 9mila euro. Un dato già di per sé allarmante, che assume connotati ancor più drammatici se si considerano anche i redditi complessivi uguali o inferiori a 11mila euro, ovvero la soglia per quelli che, appunto, sono definiti “lavoratori poveri”: significa che il 19,5% di lavoratrici e lavoratori, ovvero uno ogni cinque, si trova in povertà nonostante il lavoro.
In generale, questa situazione è generata da molteplici fenomeni: contratti pirata, part time involontario superiore al 60% del totale, tirocini extracurricolari più che raddoppiati nell’ultimo decennio, una dilagante diffusione dei lavoratori in nero – secondo le ultime stime sarebbero oltre 3 milioni – false partite Iva, differenziali retributivi elevati tra occupati con contratto a termine e occupati con contratto a tempo indeterminato, discriminazione di genere o verso i più giovani, e infine retribuzioni troppo basse. Questioni che riguardano il nostro Paese non certo da oggi ma che sono state ancora più evidenti dopo la crisi socioeconomica innescata dalla pandemia da Covid-19 e inasprita dalla guerra in Ucraina.
L’introduzione di un salario minimo rappresenterebbe un primo passo in avanti a cui però devono essere aggiunti dei tasselli fondamentali nella direzione dell’introduzione di tutele minime, che oltre al reddito si concentrino su welfare e sicurezza sul lavoro, con eventuali agevolazioni e strumenti premiali per quelle imprese che lo implementeranno. E ancora, prevedendo una penalità come la reintroduzione della scala mobile solo per i ritardi dei rinnovi dei contratti collettivi, per i quali non è più sufficiente la pur importante indennità di vacanza contrattuale.
In aggiunta credo sia fondamentale elaborare anche un indice, che sia basato su indicatori scientifici e domini costituiti da dati certificati, che misuri cosa si intende per “esistenza libera e dignitosa” delle persone, al fine di una migliore parametrazione della retribuzione necessaria: più che di salario minimo io parlerei di salario degno. Non si può trascurare poi anche un ragionamento sulla soglia di guadagno massimo consentito, perché abbiamo un problema di troppa ed esagerata ricchezza, generata spesso dalla rendita, e che ha reso profondamente diseguale il nostro Paese: a fine 2021, la ricchezza del 5% della popolazione più ricca era superiore a quella detenuta dall’80% più povero.
Obiettivi che possono essere conseguiti, dunque, soltanto con un lavoro approfondito e ampio, non limitato al solo salario minimo previsto per legge, da realizzare attraverso la promozione di un tavolo permanente ad hoc fra Governo e Parti Sociali. Al quale, come Acli, ci candidiamo a portare la nostra esperienza e le nostre proposte.
Emiliano Manfredonia, Presidente nazionale delle Acli.
Articolo pubblicato su Avvenire il 28 luglio 2023