A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita Cristiana
Aldo Moro e l’intelligenza degli avvenimenti
Lunedì 19 novembre, di fronte ad una sala affollatissima di persone, e tra queste molti giovani, Marco Damilano ha presentato a Bergamo la figura di Aldo Moro. Un ritratto a tutto tondo, senza sconti, nel quale emergeva, in modo particolare, la convinzione del leader democristiano di concepire la politica anzitutto come “l’intelligenza degli avvenimenti.” Non basta l’accadimento, occorre l’interpretazione. Ma per avere l’interpretazione serve necessariamente un punto di vista, un pensiero con un punto di vista. Che dia senso alla direzione da prendere.
Altro che rincorrere l’esistente o navigare a vista. Sarebbe importante dunque chiedere a quanti si impegnano laicamente da credenti in politico di esibire il loro punto di vista. Dove si mettono a leggere e a interpretare la storia? Fa differenza leggere la storia dal centro o dalla periferia, da chi è garantito o da chi non ce la fa, dai tutelati o da chi sente il peso della fragilità.
Lo stipendio di un presidente di società e quello di un operaio. Parola di Romano Prodi
Nei giorni scorsi, l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi ha provocatoriamente chiesto come si possa giustificare oggi che la differenza di stipendio tra chi guida le società e l’operaio standard sia di 200 volte. “E nessuno dice niente. Accettiamo cose che trent’anni fa non avremmo minimamente accettato”, ha concluso Prodi. Non è questione di pauperismo né pretesa ideologica di voler mettere tutti sullo stesso piano. Esiste, invece, sempre più marcato il tema della disuguaglianza che non può non interrogarci.
Tanto più vero quanto più è evidente la consapevolezza che siamo in una stagione nella quale molti hanno abbassato l’asticella dell’indignazione e si sono abituati ad accettare quello che non può essere accettato. È venuta meno l’intelligenza degli avvenimenti. Come è stato possibile? Come è accaduto che ci si dimenticasse per strada l’articolo 3 della Costituzione? “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Le ricchezze dei primi 8 nel mondo pari al reddito di 3 miliardi e mezzo di poveri
Certo, fanno specie le disuguaglianze nel mondo. Così vistose, che dà fastidio sentirle. Basta vedere l’ultimo rapporto Oxfam che segnala che, per arrivare alla ricchezza della metà più povera del pianeta (oltre 3 miliardi e mezzo di persone) di uomini più facoltosi del mondo non ne servono più 388 come nel 2010, 80 come nel 2014 o 62 come lo scorso anno, ma bastano i primi 8. Oxfam ci dice anche che tra il 1988 e il 2011 il reddito medio del 10% più povero è aumentato di 65 dollari, meno di 3 dollari l’anno, mentre quello dell’1% più ricco di 11.800 dollari, ovvero 182 volte tanto.
E che nel giro di 25 anni potrebbe nascere il primo trillionaire. Un individuo che possederà più di 1.000 miliardi di dollari e che per consumarli dovrebbe spenderne 1 milione al giorno per 2.738 anni. È un cambio che non ha precedenti nella storia. Fra 5 anni secondo Amnesty Internationall’ineguaglianza sociale inglese sarà uguale a quella del tempo della regina Vittoria.
Ciò che accende di più l’indignazione è constatare che il progresso scientifico e medico ci mette a disposizione meccanismi in grado potenzialmente di assicurare benessere sostenibile a tutti, e noi li usiamo malissimo. Lo scandalo – come sostiene spesso Leonardo Becchetti – non è nei limiti della macchina, ma in quelli del pilota. Non dobbiamo distruggere la macchina, ma guidarla in modo diverso. Per corredare la metafora con qualche altro dato il Fondo monetario internazionale ci ricorda che il Pil mondiale cresce mediamente al 3,7% l’anno.
Se la crescita della torta fosse equamente distribuita e se i redditi di ciascun abitante del pianeta potessero crescere al 3,7% l’anno ne avremmo per tacitare qualunque “populismo”. E invece le drammatiche diseguaglianze che osserviamo, sempre più visibili, sempre meno occultabili nel mondo della comunicazione globale dove i confronti sono immediati, sono un veleno che inquina la vita sociale e mette a rischio la tenuta delle istituzioni e della stessa democrazia.
Le disuguaglianze non sono una fatalità
Papa Francesco lo ripete spesso: la diseguaglianza e lo sfruttamento non sono una fatalità e neppure una costante storica.
Non sono una fatalità perché dipendono, oltre che dai diversi comportamenti individuali, anche dalle regole economiche che una società decide di darsi. Si pensi alla produzione dell’energia, al mercato del lavoro, al sistema bancario, al welfare, al sistema fiscale, al comparto scolastico. A seconda di come questi settori vengono progettati, si hanno conseguenze diverse sul modo in cui reddito e ricchezza si ripartiscono tra quanti hanno concorso a produrli. Se prevale come fine il profitto, la democrazia tende a diventare una plutocrazia in cui crescono le diseguaglianze e anche lo sfruttamento del pianeta. Ripeto: questo non è una necessità; si riscontrano periodi in cui, in taluni Paesi, le diseguaglianze diminuiscono e l’ambiente è meglio tutelato.
E non pensate che ciò non riguardi il nostro Paese. Nell’ultimo rapporto dell’Ocse “The role and design of net wealth taxes” l’Italia è indicata come una delle nazioni dove la disuguaglianza sociale è aumentata di più e dove la concentrazione di ricchezza verso l’alto è diventata sempre più evidente negli ultimi dieci anni di crisi. Il 43% della ricchezza è appannaggio del 10% più ricco della popolazione. Detto fuori dai numeri è come se l’ascensore sociale nel nostro Paese si fosse bloccato ai piani bassi. Segno di una società italiana sempre più vicina a una situazione tipica del capitalismo avanzato: forti diseguaglianze e scarse opportunità di mobilità interna. L’integrazione sociale è ormai una questione di pedigree: non contano né l’impegno né le capacità. Vi ricordate quando don Lorenzo Milani diceva che massimo ingiustizia era fare “parti uguali tra diseguali”?
In attesa di statisti di alto spessore umano e cristiano
Dunque? Possiamo solo ragionare su quanta disuguaglianza siamo disposti ad accettare o c’è altro? Nei giorni scorsi, papa Francesco incontrando in udienza privata i membri della Fondazione La Pira ha detto loro, tra le cose, che “oggi ci vogliono profeti di speranza, profeti di santità, che non abbiano paura di sporcarsi le mani, per lavorare e andare avanti.
In un momento in cui la complessità della vita politica italiana e internazionale necessita di fedeli laici e di statisti di alto spessore umano e cristiano per il servizio al bene comune, è importante riscoprire Giorgio La Pira, figura esemplare per la Chiesa e per il mondo contemporaneo”. Come mai figure di questo spessore non se ne vedono nell’agone politico? Dove sono? Perché le nostre comunità cristiane non sono state capaci di formare donne e uomini di alto spessore umano e cristiano pronti a mettersi al servizio del bene comune?