Una norma con più sfaccettature che ha un merito condiviso all’unanimità: l’ingente quantità di risorse economiche che sono state previste per il contrasto alla povertà e per il rilancio dell’occupazione nel nostro paese. È questo sicuramente uno dei punti che è emerso dal seminario di approfondimento sul Reddito di cittadinanza organizzato il 26 marzo dalle Acli con il Patronato Acli, il Caf Acli e l’Enaip in collaborazione con il Cnoas a cui hanno partecipato: Emiliano Manfredonia, Presidente del Patronato Acli e Andrea Luzi, Presidente del Caf Acli con gli interventi di Marco Calvetto, Responsabile Lavoro del Patronato Acli; Paolo Conti, Direttore Generale del Caf Acli; Paola Vacchina, Amministratore Delegato di Enaip; Gianmarco Gazzi, Presidente del Cnoas; Cristina Grieco, Coordinatrice della Commissione Lavoro per la Conferenza delle Regioni e Pasquale Tridico, professore ordinario di Politica Economica all’Università Roma Tre. Le conclusioni sono state affidate al Presidente nazionale delle Acli, Roberto Rossini mentre a coordinare i lavori è stato il consigliere della Presidenza nazionale Acli, Gianluca Budano.
Per MArco Calvetto “è passato in maniera silente il pieno coinvolgimento dei patronati, che in primo momento sembrava dovessero occuparsi solo delle pensioni di cittadinanza. Ora invece siamo parte attiva in molte fasi, a partire dalla richiesta del sussidio e questo ha sicuramente un senso, crediamo infatti che una norma come questa abbia la stessa mission del Patronato che poi si sintetizza benissimo nell’articolo 3 della nostra Costituzione. Il problema è che non ci sono stati assegnati fondi e quindi, rischiamo di pagare un prezzo molto alto”.
L’intervento di Paolo Conti si è invece concentrato su una breve analisi delle domande che sono pervenute ai Caf Acli in questo primo mese, circa 30mila “di cui quasi il 20% proviene da cittadini extracomunitari, vista la concentrazione di sedi del Caf nell’Italia del nord. Poi c’è una percentuale apparentemente bassa di under 30, il 6%, in linea con il dato nazionale ma secondo me si è data una lettura sbagliata: a fare richiesta di Reddito di cittadinanza infatti è il capo famiglia, ed è molto probabile che al suo interno la famiglia abbia un minore di 30 anni che quindi è beneficiario della norma. Bisogna stare molto attenti a come il dibattito sui media ha spostato le questioni – ha continuato Conti – per esempio abbiamo avuto la netta sensazione che la maggior parte dei richiedenti percepisca il lavoro come un diritto e non come un dovere, quasi che fosse lo Stato unico responsabile dell’occupazione di un individuo. Per questo dobbiamo essere molto bravi, da adesso in poi, a fornire le giuste informazioni ai nostri utenti sulla fase due della norma, che è poi la parte più forte, quella che davvero può cambiare, in meglio, la vita di un cittadino”.
Paola Vacchina ha portato alla luce i problemi legati alla formazione nel nostro paese: “bisogna investire in percorsi formativi che possano da un lato far diminuire il mismatch tra competenze di chi esce da un percorso di studi e necessità delle imprese; dall’altro lato bisogna far crescere quella parte di popolazione che ha competenze bassissime e che quindi, una volta perso il lavoro, è difficilmente ricollocabile. In particolare abbiamo calcolato, per quest’ultimo intervento, una spesa di 303 milioni di euro, che non è una grande somma ma farebbe davvero del bene al mercato del lavoro italiano, livellandolo con quello degli altri paesi europei”.
Gianmario Gozza, Presidente dell’Ordine degli Assistenti Sociali ha espresso alcune perplessità, pur lodando lo sforzo economico che c’è dietro il Reddito di cittadinanza e anche l’intenzione di contrastare povertà e mancanza di lavoro “ma per intervenire davvero sulle fasce deboli bisogna potenziare l’integrazione dei servizi, con un piano mirato di investimenti negli enti locali, per mettere in condizioni i servizi sociali e gli assistenti sociali di prendere davvero in carico il singolo individuo”.
È intervenuta anche Cristina Grieco che ha rivendicato l’azione delle regioni soprattutto in merito alla seconda fase della legge, quella che prevede l’indirizzamento dei beneficiari del Reddito di cittadinanza verso il patto del lavoro o verso il patto di inclusione: “crediamo che vada rafforzata e valorizzata la rete di welfare locale che così faticosamente si era costituita con le leggi precedenti e che aveva funzionato, dove più dove meno. È importante partire da lì per continuare sulla buona strada”.
Pasquale Tridico, alla prima uscita ufficiale da Presidente dell’Inps, si è prima di tutto complimentato per il clima costruttivo e di dialogo che ha respirato durante il seminario, sottolineando come molto spesso il dibattito pubblico dei mesi precedenti “sia stato ridotto ad una semplice diatriba sui furbetti del divano senza considerare un fatto fondamentale: stiamo parlando di un reddito minimo, cioè di un reddito che ha bisogno della prova dei mezzi, cioè di un indicatore reale che, al momento, abbiamo valutato essere l’Isee. Siamo di fronte ad una norma mai vista prima, che ha messo una cifra pari a 6 volte tanto quella che era stata messa dal Rei per il contrasto alla povertà, che darà impulso al mondo del lavoro con nuove assunzione nei Centri dell’impiego e un investimento importante negli stessi anche da un punto di vista strutturale. Ancora non so quanto ci costerà – ha continuato Tridico – ma so che la Ragioneria di Stato è stata, giustamente, prudente stimando una richiesta pari all’85% degli aventi diritto. La stessa norma in Francia è stata richiesta dal 40% degli aventi diritto, in Germania dal 60% . In generale nei paesi europei oscilla tra queste due cifre, quindi crediamo ci siano risorse a sufficienza”.
Il Presidente delle Acli, Roberto Rossini, concludendo il seminario ha detto che “si tratta indubbiamente di uno stanziamento di risorse senza precedenti, ed è un bene, ma bisogna sottolineare che il Rei contrastava la povertà assoluta mentre il Reddito di cittadinanza è uno strumento contro la povertà relativa. Non sappiamo se alla prova dei fatti sarà un vantaggio o uno svantaggio per i poveri assoluti ma ci sono alcuni dubbi, ad esempio sul patto per l’impiego che può funzionare in una provincia dove il lavoro c’è perché gli imprenditori si rivolgono al centro per l’impiego, ma nelle province dove questo non succede, che si fa? E poi ci sono altri emendamenti che avevamo presentato ma che non sono stati accolti, come la questione dei senza
dimora che non possono beneficiare del sussidio perché non hanno una residenza. In generale crediamo che sia molto difficile mettere insieme la lotta contro la povertà e la lotta contro la disoccupazione in un’unica norma, sono realtà diverse e spesso non collegate”.