Dopo anni di trattative fallite tra Unione Europea e stati membri e dopo le belle parole sulla solidarietà pronunciate da Ursula Von der Leyen nelle ultime settimane, il testo del New Pact on Migration and Asylm delude.
Detto patto si basa sui seguenti quattro pilastri: creazione di una guardia costiera europea e rafforzamento della politica di rimpatri; procedure più rapide ed efficienti di frontiera; accordi bilaterali con paesi terzi, compresa l’organizzazione di canali legali di immigrazione fondati sull’individuazione di talenti e competenze di cui l’UE ha bisogno.
Il quarto pilastro, ossia il regolamento di Dublino, resta. A cambiare, sarà il “principio di solidarietà’”: il ricollocamento dei richiedenti asilo non sarà infatti veramente obbligatorio; gli stati che rifiutano di accoglierli hanno la scelta di dare un contributo economico o occuparsi del rimpatrio delle persone che non hanno il diritto a rimanere in Europa. Insomma, si tratta sostanzialmente di un meccanismo di solidarietà volontaria che, come abbiamo già visto alla fine del decennio scorso, numeri alla mano, non ha funzionato. Secondo i dati UNHCR del 2017, infatti, per un impegno di relocation previsto dall’UE pari a 98.255 unità, i posti previsti dagli Stati membri erano 47.905. Eppure, dall’Italia ne sono stati ricollocati solo 9.268 su 34.953 e dalla Grecia 20.410 su 63.302.
Oggi costatiamo con rammarico che abbiamo aspettato anni per il nuovo patto, ma di nuovo non c’è nulla. Di fatto, la filosofia dell’Unione Europea è sempre la stessa: prevale ancora una volta la logica securitaria che ha indirizzato le precedenti politiche europee di immigrazione e asilo, determinando una continua riduzione dei diritti dei cittadini stranieri.
Secondo le Acli, il trattato di Dublino deve essere cancellato, perché il sistema di condivisione di solidarietà volontaria ha mostrato, nei precedenti anni, tutti i suoi limiti. Ognuno dei 27 paesi dell’UE si assuma la responsabilità di quello che non ha fatto in passato e non sta facendo nel presente. Delegare la gestione dei flussi migratori ai soli paesi che casualmente si affacciano sul Mediterraneo, non è una soluzione, né giustificherà gli altri 25 paesi quando la Storia chiederà loro conto di tanta indifferenza nei confronti della sofferenza e morte di un numero così alto di persone.
Non ci troviamo di fronte ad un’invasione. Solo 1 milione di migranti sono entrati nella ricca Europa abitata da ben 500 milioni di persone. Ci sono piccole nazioni come il Libano, l’Etiopia, il Kenya e l’Uganda che accolgono oggi più profughi di quanto l’Europa tutta ne abbia mai accolti. “In questo senso”, afferma Antonio Russo, delegato di Presidenza con delega all’Immigrazione delle Acli “la nostra Associazione chiede all’Unione Europea un patto che sia davvero nuovo e cioè basato sul principio della solidarietà nei confronti dei migranti e non su quello della sicurezza nei confronti degli autoctoni, proponendo un’accoglienza duplicemente diffusa – obbligatoriamente in tutti i paesi e in piccole strutture – e l’estensione dei corridoi umanitari: è stato calcolato che con i 6 miliardi dati a Erdogan per esternalizzare le frontiere europee, si sarebbero potute salvare circa 600.000 persone, garantendo inclusione e onorando il diritto internazionale, nonché i valori fondativi dell’Unione Europea”.
Le Acli chiedono dunque alle istituzioni europee di portare sostanziali correttivi nel testo proposto, capaci di esprimere una maggiore corresponsabilità nella gestione dei migranti, nella direzione di una solidarietà che non sia solo verbalizzata ma anche agita.