Il pontificato di Paolo VI si svolge nella fase conclusiva dei tre decenni post–bellici, connotati da una forte crescita demografica e da un intenso sviluppo economico-sociale.
Sviluppo economico che, per una certa fase, pur nelle rigidità della perdurante [dt_tooltip title=”guerra fredda”]Con guerra fredda si indica la contrapposizione politica, ideologica e militare che venne a crearsi dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale (1945) tra le due potenze principali vincitrici: gli Stati Uniti d’America e l’Unione Sovietica. Si giunse alla formazione di blocchi internazionali ostili, denominati comunemente come Occidente (gli Stati Uniti e gli alleati della NATO) ed Oriente, o “blocco comunista” (l’Unione Sovietica e gli alleati del Patto di Varsavia). La fine della guerra fredda viene fatta coincidere con la caduta del muro di Berlino (1989) e la successiva dissoluzione dell’URSS (26 dicembre 1991).[/dt_tooltip] e del mondo bipolare, sembra coinvolgere non solo i paesi occidentali ma anche quelli del
[dt_tooltip title=”socialismo reale”]L’espressione «socialismo reale» fu utilizzata, a partire dagli anni Settanta, per indicare il modello di organizzazione sociale dell’Unione Sovietica e delle cosiddette «democrazie popolari» dei Paesi dell’Europa orientale. I suoi specifici tratti distintivi erano: a) la dittatura monopartitica; b) la concentrazione dei mezzi di produzione nelle mani dello Stato; c) la pianificazione economica; d) il marxismo-leninismo come ideologia ufficiale.[/dt_tooltip] e persino quelli del [dt_tooltip title=”Terzo Mondo”]Terzo Mondo è una denominazione entrata nel linguaggio delle relazioni internazionali nel corso degli anni Cinquanta, per indicare i paesi dell’Asia, Africa e America Latina, appena usciti dalla soggezione coloniale oppure in lotta per il conseguimento dell’indipendenza. Tale espressione è rimasta nell’uso per designare i paesi caratterizzati da un basso prodotto interno lordo pro capite, da una elevata crescita demografica e da una struttura produttiva fortemente dipendente dall’importazione di capitali e tecnologie dai paesi industrializzati.[/dt_tooltip] di recente indipendenza, definiti allora in via di sviluppo.
L’enciclica del 1967 più propriamente sociale di Paolo VI ha, non casualmente, il titolo di Populorum Progressio e, quasi a commento e completamento della giovannea [dt_tooltip title=”Pacem in Terris”]La Pacem in Terris è l’ultima enciclica pubblicata da Giovanni XXIII l’11 aprile 1963.Il Pontefice si rivolge a «tutti gli uomini di buona volontà», credenti e non credenti, perché la Chiesa deve guardare ad un mondo senza confini e senza “blocchi”, e non appartiene né all’Occidente né all’Oriente. «Cerchino, tutte le nazioni, tutte le comunità politiche, il dialogo, il negoziato». Bisogna ricercare ciò che unisce, tralasciando ciò che divide.[/dt_tooltip], afferma che “lo sviluppo è il nuovo nome della pace”.
L’incipit dell’enciclica è chiarissimo:
«Lo sviluppo dei popoli, in modo particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell’ignoranza; che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane; che si muovono con decisione verso la meta di un loro pieno rigoglio, è oggetto di attenta osservazione da parte della chiesa».
Al suo interno vi è la denuncia dell’aggravarsi dello squilibrio tra paesi ricchi e paesi poveri e il diritto di tutti i popoli al benessere. L’enciclica propone infine la creazione di un fondo mondiale per gli aiuti ai paesi in via di sviluppo.
Le ACLI pubblicano il testo dell’enciclica in un numero speciale di Azione Sociale, con un ricco dossier sulla realtà drammatica del Terzo Mondo e un commento dell’assistente ecclesiastico, mons. Cesare Pagani:
«Paolo VI ha coscienza di aver parlato al mondo con un coraggio di idee, di denunce, di richiami, di progetti che possono mozzare il respiro dei deboli, ha la preoccupazione di far entrare davvero nel circolo di vita dell’umanità un richiamo che Egli giudica drammaticamente urgente e necessario. Utopia? La “Populorum Progressio” non è e non vuole essere un documento puramente teorico. È un gesto pastorale, un intervento illuminato che interessa direttamente l’opera, il fare, il programma umano; vuole incidere sulla vita del mondo e soprattutto sulla vita dei miseri».
Il Comitato Esecutivo delle ACLI accoglie «con gioia e commozione la promulgazione dell’enciclica», ringraziando Paolo VI «per l’alto insegnamento e l’accorato appello all’impegno solidale per l’autonomo sviluppo dei Paesi nuovi e di tutta l’umanità».
Un segno evidente dell’immediata e convinta recezione del messaggio dell’enciclica sono le molteplici iniziative di solidarietà per i paesi del Terzo Mondo e l’avvio di rapporti intensi con movimenti quali la Confederazione dei sindacati cristiani dell’America Latina.
Il presidente Livio Labor, prendendo come riferimenti la Populorum Progressio e lo storico intervento di Paolo VI all’ONU del 4 ottobre 1965, in un discorso in provincia di Brescia nell’aprile del 1967 avanza la proposta di ridurre dello 0,5% le spese militari per finanziare il fondo sociale delle Nazioni Unite per la lotta contro il sottosviluppo.
La Populorum Progressio, in continuità con la giovannea Pacem in Terris, apre una nuova stagione di sensibilità e di impegno sui grandi temi della pace e della solidarietà internazionale, contribuendo in forma decisiva ad arricchire il patrimonio valoriale e identitario delle ACLI.
A cura dell’Archivio Storico ACLI Nazionali
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- Lettera enciclica Populorum Progressio di Paolo VI del 26 marzo 1967
- Un progetto per la nostra coscienza; Cesare Pagani, in Azione Sociale n.14-15, 9 aprile 1967
- L’impegno per lo sviluppo, in Azione Sociale n.14-15, 9 aprile 1967
- Discorso di Paolo VI all’ONU – New York, 4 ottobre 1965
- La Populorum Progressio esige una risposta concreta; Livio Labor, in Acli Oggi n.15, 12 aprile 1967
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