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“No vendita, no Iva” al Terzo Settore: rischio prima bocciatura in vista. Mettiamoci la faccia contro l’attacco alla libertà di associarsi

Le Acli tornano a rilanciare l’appello costruito insieme nel Forum del Terzo settore perché ci si muova fotografandosi col manifesto (qui la versione da stampare) per inviarlo ai parlamentari del proprio territorio.

Deputati e senatori di diversi schieramenti hanno presentato l’emendamento proposto dalla campagna ma, stando alle risposte avute, pare che il Governo voglia farlo bocciare, almeno all’atto del voto delle modifiche al disegno di legge di conversione del decreto legge 155 previsto nei prossimi giorni al Senato.

Né arrivano notizie positive su altri emendamenti presentati che chiedono la proroga dell’entrata in vigore della fine dell’esclusione Iva, in particolare su quello che la prevede per due anni, presentato dal presidente della Commissione Bilancio, il senatore di Fratelli d’Italia Nicola Calandrini. Emendamenti analoghi o simili sono tra quelli della legge di bilancio, ma il silenzio del Governo si fa assordante.

Tutto ciò nonostante l’emendamento Forum risolva alla radice i problemi ripristinando l’esclusione per le sole attività delle associazioni di Terzo settore rivolte ai soci dove non vi sia diretta corrispondenza tra contributi versati e costi sostenuti, annullando così le condizioni dettate dall’Unione Europea che obbligano ad essere soggetto Iva. E nonostante nelle norme attuali vi siano altri casi di esclusione, senza condizione alcuna, di soggetti non di Terzo settore.

Giova anche ricordare che anche l’esenzione Iva prevista in sostituzione dell’esclusione non riguarda tutte le attività e prevederebbe costi e problemi di gestione elevati quali il registratore di cassa e l’organizzarsi per la fatturazione elettronica.

Oltre a ciò l’obbligo Iva previsto da Gennaio rappresenterebbe una violazione della libertà associativa e dell’autonomia delle organizzazioni sancita nei principi fondamentali della nostra Costituzione perché l’esenzione, a differenza dell’esclusione, non è un diritto, ma dipende dalla volontà e dalle scelte dello Stato e ciò subordinerebbe allo Stato e alle maggioranze che ne dettano le norme la possibilità di svolgere la minima attività associativa delle organizzazioni, che ricordiamo si basa di fatto sulla condivisione delle spese tra soci.

Basta con questa logica che non riconosce nei fatti l’autonomia delle formazioni sociali e sempre più la riduce a una possibilità non accessibile a tutti. Sottoporre la vita delle formazioni sociali alla volontà delle istituzioni è un attacco alla democrazia.

 

 

 

 

 

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