Una ricerca di Iref-Acli dimostra come i tre programmi elettorali dei tre soggetti politici principali abbiano forti accenti statalisti: M5s, Pd e centrodestra prevedono robusti interventi da parte dello Stato. I quadrati semiotici, che i ricercatori hanno utilizzato, contrappongono la logica dei divieti e dei permessi – tipica di una regolazione normativa forte – a quella di rinforzi positivi e negativi – che incentiva le forme di auto-organizzazione sociale ed economica. In altre parole, se si partisse dall’opposizione tra governo forte e governo debole, dove si situerebbero i programmi elettorali di questi tre soggetti? Prevalentemente dalla parte del governo forte.
È un bene o è un male? Dipende, potremmo dire. Il governo forte legifera su una molteplicità di aspetti, aumentando così il numero delle regole e il controllo sociale; si preoccupa di lottare direttamente contro un qualche problema, senza intermediare troppo; gestisce direttamente le risorse, investe molto sulle proprie strutture.
Si tratta di trend, beninteso: eppure questa analisi ci dice quale direzione la politica stia prendendo dopo anni e anni in cui si è celebrato il mito della società civile, ora forse tramontato. Mi sembra un dato su cui riflettere: il nuovo che avanza – chi più chi meno – fatica a “vedere” i soggetti sociali. Anche nella formazione delle liste elettorali ci pare che qualcosa di simile sia avvenuto, con la società ridotta a qualche simbolo da presentare.
Effettivamente ogni tanto qualcuno afferma che in fondo la società civile non è poi sempre così civile: vero, ma senza la società anche la democrazia sarebbe più debole, perché non tutto sta nello Stato. I programmi dei partiti sembrano dunque andare nella prevalente direzione di uno Stato forte. Non è un male in sé, ma va preso atto che se questa è la direzione, allora va ridefinito il rapporto con un mondo vivace e forte che in Italia, per fortuna, esiste.