Per una pace che non sia adattamento
di Daniele Rocchetti, responsabile della Vita Cristiana delle ACLI nazionali
La notizia è ora ufficiale. La prossima Marcia nazionale per la pace organizzata da Pax Christi e dall’Ufficio Cei per i problemi sociali e il lavoro, Caritas italiana e Azione cattolica, si svolgerà la sera del prossimo 31 dicembre a Sotto il Monte. Proprio nel paese natale di Papa Giovanni XXIII, il papa del Concilio e della Pacem in Terris, inopinatamente nominato nelle scorse settimane Patrono dell’Esercito italiano, si tenne cinquant’anni fa la prima marcia organizzata da Pax Christi.
Mons. Bettazzi e la prima Marcia per la pace
Lo ha ricordato recentemente mons. Luigi Bettazzi: “Quando, nel 1968, il Segretario della CEI, il vescovo Pangrazio, mi chiamò a Roma per propormi la presidenza della sezione italiana di Pax Christi (“Sei il più adatto” mi disse, e seppi poi che altri cinque vescovi avevano rifiutato), cercai di raccogliere i rappresentanti di alcuni gruppi ancora in vita. Furono proprio i giovani che, rifacendosi alle Giornate Mondiali della Pace, indette da Paolo VI per l’inizio dell’anno proprio a cominciare dal 1° gennaio 1968, proposero di iniziare l’anno con una marcia (le Routes erano tipiche nell’attività di Pax Christi) che finisse in una chiesa dove la celebrazione dell’Eucarestia ci trovasse allo spuntare dell’anno nuovo. Andammo così, l’ultimo giorno del 1968, nel cortile della casa natale di papa Giovanni XXIII, a Sotto il Monte (oggi Sotto il Monte Giovanni XXIII) dove Padre Turoldo ci tenne un discorso sulla pace (“la pace non è americana, come non è russa, romana, cinese; la pace vera è Cristo”), e di lì partimmo in marcia verso Bergamo (ventiquattro chilometri e un gran freddo, con la gente che ci guardava come fossimo matti!), con molti aggiuntisi nella vicinanza della città e con la Messa celebrata dal vescovo di Bergamo, mons.Clemente Gaddi, nella Cappella del Seminario allo scoccare della mezzanotte.”
L’annuncio è stato fatto da mons.Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura-Gravina e, dal 2014, presidente della sezione italiana del movimento cattolico internazionale per la pace, a Cagliari durante la Settimana Sociale. In quel contesto mons. Ricchiuti, sulla scia del videomessaggio di Papa Francesco che ha parlato di lavori “che umiliano la dignità delle persone, quelli che nutrono le guerre con la costruzione di armi”, ha usato parole forti per denunciare le bombe prodotte in Sardegna dalla RWM che poi l’Italia vende tranquillamente all’Arabia Saudita impegnata da anni a bombardare lo Yemen.
Il lavoro e la produzione delle armi
Rivolgendosi al presidente del Consiglio Gentiloni, che ha fatto visita nel giorno di sabato alla Settimana Sociale dedicata “al lavoro libero, creativo, solidale e partecipativo”, ha detto che il lavoro di progettazione, di produzione di vendita e anche di supporto logistico delle armi e in particolare delle bombe d’aereo prodotte sull’isola, a pochi chilometri dalla sede dove si è svolto l’appuntamento della Chiesa italiana e vendute proprio ai sauditi che il premier ha incontrato nei giorni successivi, non è un lavoro libero, anzi viene nascosto. Non è per niente creativo, lontano da chi ne intasca i profitti e indifferente verso chi ne subisce gli effetti. È un lavoro che non può essere partecipativo ma può essere scaricato facilmente sui territori più poveri e ricattabili. Ed è un lavoro violento, di una violenza inaudita, ingiusta e distruttiva anche delle relazioni civili. Quanto di più distante da tutto ciò che si può definire solidale e quanto di più lontano dal dettato costituzionale dell’art. 11 e dagli impegni necessari per la salvaguardia della repubblica e della democrazia. La voce di mons. Ricchiuti si è levata anche contro il governo italiano e la maggioranza del Parlamento per la loro “imbarazzante indifferenza verso la banalità del male. Esiste una coscienza che resiste nella società e che chiede una riconversione integrale dell’economia. Voce che ha bisogno di sostegno per non cedere al ricatto di chi oppone bombe al lavoro e alla vita”
Un miliardo all’anno per i prossimi vent’anni
Insomma, la Marcia a Sotto il Monte – se non vuole essere unicamente un appuntamento di circostanza – possa essere un’occasione per ragionare, senza semplificazioni ma anche con coraggio e discernimento evangelico, su un’industria, quella militare, che, in nome dei profitti, non conosce limiti e crisi. Pensiamo anche solo al progetto degli F35, il nuovo modello aereo da guerra al cui progetto di sviluppo, guidato dagli Stati Uniti, partecipa anche l’Italia. Almeno un miliardo di euro all’anno per i prossimi vent’anni, il programma militare più costoso della storia italiana. Proprio nei giorni scorsi, nel silenzio generale, vi è stato il volo del primo F-35B assemblato a Cameri (Novara).
Annunciatori di cieli nuovi e terre nuove
Quando intervistai don Tonino Bello, l’indimenticato vescovo di Pax Christi di cui il prossimo anno ricorderemo i 25 anni della morte avvenuta il 20 aprile del 1993, gli chiesi perché noi cristiani spesso non abbiamo consapevolezza del valore “teologico” della pace. Mi rispose cosi:
A dire il vero, dovremmo essere più audaci come Chiesa. Il Signore ci ha messo sulla bocca parole roventi: ma noi spesso le annacquiamo con il nostro buon senso. Ci ha costituiti sentinelle del mattino, annunciatori cioè dei cieli nuovi e delle terre nuove che irrompono, e invece annunciamo cose scontate, che non danno brividi, che non provocano rinnovamento. Spesso ci adattiamo alla corrente… del Golfo”.
Che non sia cosi anche per noi.