Emilio Gabaglio è stato un protagonista non solo della storia delle ACLI, ma di quella di tutto il nostro Paese. Nella sua esperienza umana, ecclesiale, sindacale e politica si sono intrecciati diversi elementi che hanno segnato la strada di una generazione di credenti che, arrivata all’età adulta dopo la guerra, aveva vissuto con pienezza le grandi sfide degli anni Sessanta sperando nel rinnovamento della società e aveva attraversato i dibattiti del Concilio Vaticano II sperando nel rinnovamento della Chiesa.
Di origine comasca (come il nostro padre fondatore Achille Grandi e come altri prestigiosi dirigenti delle ACLI quali Geo Brenna, Camillo Monti, Angelo Leoni…), nato in una famiglia di modesta estrazione, laureatosi con grandi sacrifici, si impegnò nell’insegnamento e poi, conquistato dalla personalità magnetica di Livio Labor, partecipò alla Scuola di formazione nazionale delle ACLI , venendo incluso nella cerchia dei collaboratori del Presidente, divenendo prima Segretario organizzativo nazionale ed in seguito suo successore dopo il cruciale Congresso di Torino del 1969.
Toccò a Gabaglio gestire la scelta coraggiosa ed inevitabile di rompere il rapporto collaterale con la DC, con le conseguenze politiche ed ecclesiali che ne vennero, in una fase sociale segnata dal grande risveglio studentesco ed operaio e dall’inizio della strategia della tensione.
Il Presidente Gabaglio assunse su di sé la responsabilità della mediazione con la Conferenza episcopale italiana – e indirettamente con il papa Paolo VI, il cui ruolo decisivo nella fondazione delle ACLI era ben noto- e nello stesso tempo quella di integrare nel Movimento i giovani militanti persuasi che le ACLI fossero un cardine per il grande mutamento sociale che pareva imminente.
In questo senso, egli si fece carico di una chiarificazione ideologica nel corso dell’Incontro nazionale di studi a Vallombrosa nell’estate del 1970, che rifletteva il punto di vista della maggioranza del gruppo dirigente ma che suscitò allarme e riprovazione in ambito ecclesiale, conducendo al “ritiro del consenso” da parte della CEI nel maggio 1971 e alla “deplorazione” di Paolo VI il mese successivo. Gabaglio cercò di guidare una fase di ripensamento dell’associazione che passò attraverso il Congresso di Cagliari del 1972, ma una serie di circostanze lo indussero, per senso di responsabilità, a dimettersi dall’incarico di Presidente nazionale nell’ottobre di quell’anno.
Dopo una fase di transizione, Gabaglio passò alla CISL con importanti incarichi, soprattutto nel settore dei rapporti internazionali, assumendo la guida della Confederazione europea di sindacati (CES) dal 1991 al 2003, in una fase segnata dall’allargamento dell’Unione europea e della stessa Confederazione, confrontandosi con i problemi della globalizzazione e della difesa dei lavoratori a livello continentale.
La sua attenzione ai problemi del lavoro, il suo affetto per le ACLI, non sono venuti mai meno, ed egli sempre ha partecipato ai momenti formativi e di ricostruzione storica organizzati dal Movimento in questi anni.
La sua memoria rimane quella di un credente fedele e coraggioso, capace di assumersi le sue responsabilità e sempre orientato all’attenzione ai problemi dei lavoratori e delle classi sociali più deboli.