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L’Italia, una repubblica democratica fondata sulla scuola

Grazie ad un’uscita imprevista, il dibattito politico nazionale ha ripreso a parlare di concessione della cittadinanza italiana agli stranieri. Superando la dialettica storica tra ius sanguinis e ius soli, si giunge oggi alla proposta dello ius culturae. Tradotto politicamente, è una mediazione. Tradotto amministrativamente significa che il minore straniero può ottenere la cittadinanza italiana se nasce o se arriva entro i 12 anni in Italia, purché abbia frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli di studio o seguito percorsi di istruzione e formazione professionale (e purché abbia almeno uno dei genitori regolarmente residente in Italia). Si tenga presente che lo ius culturae riduce l’impatto dello ius soli, che prescinde dal fatto scolastico. La proposta è stata riattivata dal presidente della commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, Giuseppe Brescia, che è del M5s, e la prima firmataria della proposta di legge è Laura Boldrini, che è di Leu. Il card. Bassetti, che è presidente della CEI, è d’accordo e lancia addirittura un appello affinché lo ius culturae entri presto in vigore: “Non basta essere nati in un suolo – dice – la cittadinanza va costruita, è frutto di integrazione, di un accompagnamento”.
Questi fatti ci suggeriscono due brevi considerazioni.
La prima: la questione degli stranieri conduce a convergenze… straniere. Chi l’avrebbe mai detto che una proposta di legge della sinistra potesse trovare pieno sostegno da parte dei vescovi e fosse proposta a sorpresa da un movimento non noto per la sua cattolicità o per la sua attenzione ai migranti? È evidente che non possiamo affrontare una delle principali sfide del futuro rimanendo rigidamente incollati ai tradizionali antagonismi del passato. Peraltro la Chiesa, in questi anni su questo tema, è stata assai più a sinistra della sinistra – se usiamo le tradizionali categorie politiche – sostenendo lo ius soli quando i governi di centrosinistra temevano di spingersi troppo in là…
La seconda è che finalmente si apre un dibattito anche sugli altri verbi proposti dal Papa. Ci tocca ogni volta ricordare che Francesco – quando parla di immigrati – usa quattro verbi, non uno: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Da anni dibattiamo sul come accogliere – che è una parte della questione – dimenticando che accogliere non basta: c’è un duro lavoro a seguire e lo ius culturae ben rappresenta almeno altri due di questi verbi. Soprattutto lo ius culturae pone al centro le nostre scuole come potente fattore di integrazione. È una bella opportunità. Una ricerca realizzata dall’Iref in tema di periferie afferma che la comunità si costruisce soprattutto dove c’è una scuola, luogo intergenerazionale di incontro, di confronto pedagogico, di legame umano. Fondare l’integrazione sulla scuola è affermare che a noi non interessa una qualsivoglia accoglienza, semmai la condivisione di un atto educativo, formativo, volontario. Parlare di stranieri non tanto a partire dai porti del Mediterraneo ma dalla scuola di ogni quartiere, è forse il modo più onesto e reale per costruire l’Italia che vogliamo in ogni città. Poi magari arriverà anche lo ius soli, perché dobbiamo proteggere la vita in generale, ma intanto apprezziamo la versione scolastica di questa tutela, perché ci trasmette l’idea che studiare sia anche un’azione civile.

 

Roberto Rossini

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