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Se c’è qualcosa che, da sempre, si rinfaccia all’Uomo occidentale questa è l’ipocrisia. Mentre rinverdiamo a parole i nostri valori, le nostre storie e ci soffermiamo troppo sulle nostre differenze cavillose – e possiamo più o meno accomunarci o prendere le distanze dai nostri cugini americani in quello che consideriamo il mondo Occidentale avanzato –, in altre parti del mondo questa narrativa è molto meno presente, se non del tutto soppiantata dalla rappresentazione dell’Uomo occidentale come ipocrita.
Questa riflessione accomuna tutti: dalla Francia che ha iniziato la destabilizzazione della Libia nel 2011 sotto la presidenza Sarkozy, e ora non ha un’idea chiara di cosa fare; all’Italia che ha stretto con la Libia durante tutti gli ultimi vent’anni, e poi ha appoggiato l’iniziativa francese con troppa leggerezza; agli Stati Uniti che hanno provato a non interessarsi alla faccenda, per poi mettere il proprio solo dopo che la situazione era ormai fuori controllo.
Oggi, dovremmo tutti sederci intorno ad un tavolo e tornare a considerare il Mediterraneo come una priorità e un’occasione dell’Europa, ma non lo facciamo. Non è sostenibile ancora a lungo che le frontiere dell’Europa siano in fiamme ma in quadro così complesso non riusciamo a trovare le ragioni di un interesse comune che sono i diritti umani e la pace per chi vive in quei paesi e la cooperazione per gli Stati europei.
Le politiche da adottare possono non piacere, ma sono chiare e precise: bisogna portare finalmente a termine la riforma del Regolamento di Dublino, approvata dal PE bloccata dalle forze sgraniate, distribuire i migranti in tutti gli Stati europei, fortificare la coesione politica ed economica dell’Unione intorno ad una maggiore centralità delle scelte condivise tra i vari Stati.
Visto da fuori, che l’Italia litighi con la Francia non ha alcun senso, perché siamo sulla stessa barca e dallo stesso lato del problema. Che vinca Serraj o Haftar, infatti, l’unico obiettivo dev’essere il ritorno alla normalità in Libia e il trasformare la sponda sud del Mediterraneo nuovamente in un’area su cui anche l’Europa può contare, sia a livello commerciale che di sicurezza. Questo non è oggi possibile dal momento che il problema principale della regione è la desertificazione, che sottrae risorse, crea guerre e disuguaglianze e quindi migrazioni. Ecco il nodo del problema. Ecco il punto dove intervenire, anche se non lo ammettiamo. Anche se non cerchiamo di coinvolgere altri attorno a questo dossier.
Se non faremo niente, il problema dal Sahara resterà e non ci potremo chiudere in noi stessi: il Sahara arriverà anche da noi.
Matteo Bracciali, Resp. Esteri ACLI