A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita Cristiana
Non si può non essere d’accordo con Michele Serra quando in una sua recente Amaca scrive che “vedere quei poveracci uscire di corsa dal portone ed entrare in macchina con un cordone di agenti che li protegge è uno degli spettacoli più tristi e più avvilenti degli ultimi anni. Come ci si sia arrivati, è una cosa che ci chiediamo troppo raramente. Magari ci sembra di essere scesi solo di un gradino ogni tanto. Poi ti volti a guardare, e ti accorgi che hai disceso la scala intera.”
I rom aggrediti. Uno spettacolo avvilente
Serra si riferiva alla famiglia rom assegnataria di un appartamento popolare a Casal Bruciato alla periferia di Roma che ha avuto bisogno della protezione delle forze dell’ordine per uscire di casa e andare in Vaticano dove, insieme a molte altre persone delle comunità sinti e rom, ha partecipato all’incontro con Papa Francesco. L’intervento del pontefice è stato lucidissimo: “Voi andate avanti con la dignità, con il lavoro… E quando si vedono le difficoltà, guardate in alto e troverete che lì ci stanno guardando. Ti guarda. C’è Uno che ti guarda prima, che ti vuole bene, Uno che ha dovuto vivere ai margini, da bambino, per salvare la vita, nascosto, profugo: Uno che ha sofferto per te, che ha dato la vita sulla croce.”
Ed ancora: È vero, ci sono cittadini di seconda classe, ma i veri cittadini di seconda classe sono quelli che scartano la gente, perché non sanno abbracciare, sempre con gli aggettivi in bocca, e scartano, vivono scartando, con la scopa in mano buttano fuori gli altri. Invece la vera strada è quella della fratellanza, con la porta aperta. E tutti dobbiamo collaborare”.
Francesco ha invitato a “lasciarsi dietro il rancore. Il rancore ammala tutto, ammala la famiglia. Ti porta alla vendetta, ma la vendetta io credo che non l’avete inventata voi. In Italia ci sono organizzazioni che sono maestre di vendetta, voi mi capite bene. Un gruppo di gente che è capace di creare la vendetta, di vivere l’omertà: questo è un gruppo di gente delinquente, non gente che vuole lavorare”. “Tutti sono persone. Non possiamo dire sono brutti, sono buoni… L’aggettivo è una delle cose che creano distanza tra la mente e il cuore. È questo il problema di oggi. Se voi mi dite che è un problema politico, è un problema sociale, culturale, di lingua, sono cose secondarie: il problema è di distanza tra la mente e il cuore”.
Da parte del governo è in atto un attacco senza precedenti a tutti coloro che si curano dei poveri
Aporofobia. Così l’ha definita recentemente Stefano Zamagni. È una parola greca che vuol dire “disprezzo del povero”. L’economista bolognese, da poco nominato da papa Francesco presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, l’ha ripresa da una filosofa spagnola, Adela Cortina che su questo un paio di anni fa ha scritto un libro, e l’ha rilanciata per denunciare l’attacco, feroce e gratuito, che sta subendo nel nostro Paese tutto il mondo che si occupa di fragilità e di poveri. “Non si era mai visto un conflitto del genere, si tratta di una novità ignota alle epoche precedenti”, ammette quando gli si chiede conto della stagione che stiamo attraversando, dell’odio riversato sugli ultimi e della evidente insofferenza, sostenuta a volte da dichiarazioni avventate da chi governa, nei confronti di chi, dal basso, prova a trovare soluzioni a misura d’uomo alla povertà, alle migrazioni, alla domanda di futuro dei più fragili. Zamagni ricorda al Governo in carica una serie di vicende: il tentato raddoppio dell’Ires per il non profit, che ha costretto alcuni mesi fa l’esecutivo ad una precipitosa marcia indietro; l’attesa, lunghissima, di una dozzina di decreti attuativi sulla riforma del terzo settore, il cui Consiglio nazionale è stato convocato per la prima volta a fine aprile 2019 scorsa dal giugno 2018, quando per legge dovrebbe essere convocato invece ogni tre mesi; lo statalismo di chi dispone che i fondi pubblici per il sociale vengano sottratti al terzo settore per essere poi reindirizzati allo Stato, mentre tra i provvedimenti che aspetta il mondo della cooperazione ci sono importanti strumenti di finanza sociale, dalle obbligazioni ai prestiti. È tutto fermo.
E poi ci parlano di voler abolire la povertà
Alla faccia di chi voleva “abolire la povertà”. O di chi grida “aiutiamo a casa loro” e, nel frattempo, taglia i fondi alla cooperazione internazionale. Fa impressione sentire sulla bocca di chi è capo di istituzioni di governo, slogan violenti, battute contro i “buonisti”, espressioni rozze come “mangiatoia”, “pacchia finita”, palate di fango nei confronti di cooperative, associazioni, ong, caritas, che non fanno altro lavorare per la solidarietà attraverso la sussidiarietà. Un lavoro alla luce del sole, con bilanci pubblici e trasparenti, che ricuce legami, costruire futuro, offre dignità alle persone, specie a chi fa più fatica: poveri, disabili, bambini soli, carcerati, migranti.
Chi ha cuore il bene comune, dovrebbe finirla con il sospetto verso il Terzo Settore, il disprezzo dei corpi intermedi (certo, non dimentichiamolo, non iniziato con questo governo) perché convinto che basti il contatto diretto, disintermediato, del leader con il popolo. A meno che la strategia sia diversa. Come ricorda Tarquinio, il direttore di “Avvenire”: “se il grido di battaglia del salvinismo è – copyright del sito Il populista – “libera la bestia che è in te“, non ci sono molti dubbi sulla “preda” designata.”
A perdere non saranno solo i poveri. A perdere sarà la comunità intera. Che si governa non con i social, ne con i selfie. Ma con rigore e competenza (che oggi non si vedono). E, se vogliamo futuro, cominciando a liberare l’umano che è in noi. È chiedere troppo?