Bene fa il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella a ricordarci che le leggi ci sono e vanno applicate. Parte del tema sicurezza sul lavoro deriva anche a nostro avviso da una necessità di rafforzare e mirare il meccanismo dei controlli, in modo che meglio si possano prevenire le situazioni di gravità. Per altro, come già ricordato, e come per altro già sta avvenendo con l’innovazione nella produzione di automobili, anche se ancora troppo lentamente, un grande apporto può proprio derivare dall’uso delle tecnologie e della digitalizzazione a favore della prevenzione. Sarebbe tecnicamente già possibile prevedere che i meccanismi di blocco automatico dei macchinari possano essere controllati da remoto dagli ispettori del lavoro. E’ un risultato che ci aspettiamo venga previsto nei progetti esecutivi che riguardano i capitoli di digitalizzazione e riforma della pubblica amministrazione in capo al PNRR.
Più in generale si deve alzare l’attenzione di tutti sull’affermarsi, specie nel mondo dei servizi (compreso anche l’indotto della Pubblica Amministrazione) di un’economia “al massimo ribasso” che cerca i propri risultati esclusivamente e senza scrupoli nel mero taglio dei costi e che, così facendo promuove un impoverimento complessivo non solo del lavoro e dei contratti, ma delle condizioni complessive nelle quali si svolge il lavoro (nonché di ogni impatto ambientale e sociale).
Questo, che non esitiamo a chiamare virus, ha portato, alla luce dei dati, il nostro paese ad affrontare la crisi economica in molti casi promuovendo una sorta di “lavorare peggio, lavorare tutti”. Più o meno consapevolmente, al netto di tante imprese e realtà nelle quali si torna a puntare sulla qualità anche umana del lavoro e della comunità, sulla democrazia economica e sulla collaborazione azienda-lavoratori-comunità, ad oggi la realtà italiana ci consegna l’impoverimento del lavoro come strategia che ha concorso a reggere l’impatto della crisi. Ma domandiamoci almeno se questa non sia una scorciatoia che ci porta sempre più fuori strada. Domandiamoci se tutto può essere risolto con soluzioni solo parziali e fuorvianti come il salario minimo: le persone e la società hanno bisogno di contratti veri e di sogni veri, non al minimo, hanno bisogno di un modello economico che permetta a tutti di coltivare concretamente l’idea che la vita dei nostri figli e il pianeta che consegneremo loro possano essere più belli e migliori, e non la sola ambizione del provare a salvarsi.
Va vissuta e rilanciata una politica più ambiziosa, che parta dalla scuola e dalla necessità di maggiore formazione, come prima tutela anche in termini di sicurezza, e che trovi in un accordo sui contratti maggiormente rappresentativi, per renderli vincolanti per tutti, la via per mettere al bando la babele di contratti pirata che zavorra al massimo ribasso tutto il mondo del lavoro.
E’ quella contro l’impoverimento del lavoro una battaglia che ha tanti fronti e che non deve dimenticare la responsabilità delle multinazionali verso i territori nei quali si localizzano e lungo tutte le catene di produzione, anche globali, cominciando da una seria legge europea sulla due diligence che obblighi al rispetto dei diritti umani e del lavoro e al rispetto dell’ambiente (compresa la lotta ai cambiamenti climatici).
Ma solo le leggi non basteranno, servono un consenso e una coscienza civile più forte, e una buona occasione sarebbero proprio i prossimi mondiali di calcio: il Qatar, oltre ad essere lo stato che ha ospitato e favorito l’accordo Trump-talebani, ospiterà i mondiali non senza avere sulla coscienza migliaia di morti sul lavoro proprio per regalarci questo grande spettacolo. Possiamo continuare ad accettare tutto questo? Come possiamo continuare ad accettare che continuino ad esistere paradisi fiscali e che l’èlite della società non manchi di protagonisti che ci mettono i propri patrimoni?
Se il lavoro diventa solo una variabile degli affari e ci va bene così perché comunque gli affari fanno girare l’economia, allora non credo che ci sarà mai un contesto che complessivamente è in grado di affrontare a monte i problemi della sicurezza sul lavoro e non solo a valle, quando bisogna tamponare e attutire i danni. Perché manca la volontà complessiva di ambire a un lavoro vero e non a un lavoro minimo. Che inevitabilmente finisce prima o poi da qualche parte per essere anche al minimo della sicurezza.
Stefano Tassinari
Vicepresidente nazionale vicario ACLI con delega al Lavoro