Il compito delle ACLI in campo economico, fin dalla nascita, è quello di suggerire le linee guida che orientino la società e la politica verso delle scelte a sostegno del lavoro e dei lavoratori.
Nell’immediato dopoguerra e ancora nei primi anni ’50 le ACLI si confrontano con la povertà, diffusa nelle città e nelle campagne, a causa della permanente, forte disoccupazione e dei bassi livelli salariali.
Nel Convegno nazionale di Roma del 1952 “Per la piena occupazione”, le ACLI sostengono che solo con la piena occupazione il lavoro può essere realmente il fondamento della cittadinanza nella nuova Italia democratica, come recita l’incipit della Costituzione.
Negli anni ’60, caratterizzati dalla crescita economica italiana, le ACLI analizzano le nuove trasformazioni indotte dalla società industriale.
Come afferma il Presidente Centrale Livio Labor nell’Incontro Nazionale di Studi del 1964: “La società industriale va accettata e, insieme, in parte rifiutata. Va accettata con tutte le sue opportunità messe al servizio dell’uomo e della crescita della persona umana, rifiutata per quelle strutture comprimenti l’uomo, la famiglia, la religione e il pluralismo democratico”.
Negli anni ‘70 il tasso di crescita del PIL scende sotto il 3%, per cause interne, per l’aumento del costo del lavoro superiore a quello della produttività, per l’impennata del prezzo del petrolio e, più in generale, delle materie prime. Ne consegue una prima crisi economica nel 1974, aggravata in Italia da un’endemica disoccupazione.
Le ACLI nell’Incontro Nazionale di Studi del 1974 “Crisi economica e crisi politica. Quale via d’uscita per il Movimento operaio”, riflettono sulle interconnessioni tra crisi economica e crisi politica, indicando, soprattutto nella relazione introduttiva di Domenico Rosati, la necessità del superamento del capitalismo d’avventura e la necessità di un’intesa tra il PCI e la DC, anche per diffondere nei due blocchi sociali di riferimento nuovi modelli di comportamenti non consumistici e rispettosi del risparmio energetico e dell’ambiente. Concetti ribaditi nel convegno di Riccione del 1978 “Dallo sviluppo in crisi ad una cultura dello sviluppo”.
Un altro importante momento di riflessione ed elaborazione si ha nel 1986, quando di fronte a scelte di politica economica che impongono sacrifici e rinunce, senza contropartita in termini di occupazione, le ACLI indicano la necessità di una convinta e originale politica di solidarietà tra i lavoratori, come recita il titolo, “La solidarietà che si reinventa”, dell’Incontro Nazionale di Studi di quell’anno.
Il trentennio che va dagli anni ’90 ai giorni nostri è caratterizzato dalla nuova pervasiva realtà della new economy e della globalizzazione, «il nome nuovo della questione sociale», secondo la pregnante definizione di Giovanni Paolo II, e dai nuovi flussi migratori che investono l’Italia, prima in entrata e poi anche in uscita.
Per coniugare democrazia e giustizia sociale alla prova della globalizzazione, per le ACLI occorre “Umanizzare l’economia”, titolo dell’Incontro Nazionale di Studi di Vallombrosa del 1999.
Le ACLI, recependo la lezione dell’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI del 2009, acquisiscono la consapevolezza che la crisi «ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente».
“Il Manifesto delle ACLI negli anni 2020. Per una società del lavoro”, proposto in occasione dell’Incontro Nazionale di Studi di Cortona del 2014, secondo la migliore tradizione e l’identità più profonda dell’Associazione rilancia l’inderogabile necessità di un’economia che crei lavoro “buono e giusto”, per superare l’attuale lunga crisi che non è solo economica, ma anche politica e culturale.
A cura dell’Archivio Storico delle ACLI
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Nell’immediato dopoguerra e ancora nei primi anni ’50 le ACLI si confrontano con la povertà, diffusa nelle città e nelle campagne, a causa della permanente, forte disoccupazione e dei bassi livelli salariali.
Nel Convegno nazionale di Roma del 1952 “Per la piena occupazione”, le ACLI sostengono che solo con la piena occupazione il lavoro può essere realmente il fondamento della cittadinanza nella nuova Italia democratica, come recita l’incipit della Costituzione.
Negli anni ’60, caratterizzati dalla crescita economica italiana, le ACLI analizzano le nuove trasformazioni indotte dalla società industriale.
Come afferma il Presidente Centrale Livio Labor nell’Incontro Nazionale di Studi del 1964: “La società industriale va accettata e, insieme, in parte rifiutata. Va accettata con tutte le sue opportunità messe al servizio dell’uomo e della crescita della persona umana, rifiutata per quelle strutture comprimenti l’uomo, la famiglia, la religione e il pluralismo democratico”.
Negli anni ‘70 il tasso di crescita del PIL scende sotto il 3%, per cause interne, per l’aumento del costo del lavoro superiore a quello della produttività, per l’impennata del prezzo del petrolio e, più in generale, delle materie prime. Ne consegue una prima crisi economica nel 1974, aggravata in Italia da un’endemica disoccupazione.
Le ACLI nell’Incontro Nazionale di Studi del 1974 “Crisi economica e crisi politica. Quale via d’uscita per il Movimento operaio”, riflettono sulle interconnessioni tra crisi economica e crisi politica, indicando, soprattutto nella relazione introduttiva di Domenico Rosati, la necessità del superamento del capitalismo d’avventura e la necessità di un’intesa tra il PCI e la DC, anche per diffondere nei due blocchi sociali di riferimento nuovi modelli di comportamenti non consumistici e rispettosi del risparmio energetico e dell’ambiente. Concetti ribaditi nel convegno di Riccione del 1978 “Dallo sviluppo in crisi ad una cultura dello sviluppo”.
Un altro importante momento di riflessione ed elaborazione si ha nel 1986, quando di fronte a scelte di politica economica che impongono sacrifici e rinunce, senza contropartita in termini di occupazione, le ACLI indicano la necessità di una convinta e originale politica di solidarietà tra i lavoratori, come recita il titolo, “La solidarietà che si reinventa”, dell’Incontro Nazionale di Studi di quell’anno.
Il trentennio che va dagli anni ’90 ai giorni nostri è caratterizzato dalla nuova pervasiva realtà della new economy e della globalizzazione, «il nome nuovo della questione sociale», secondo la pregnante definizione di Giovanni Paolo II, e dai nuovi flussi migratori che investono l’Italia, prima in entrata e poi anche in uscita.
Per coniugare democrazia e giustizia sociale alla prova della globalizzazione, per le ACLI occorre “Umanizzare l’economia”, titolo dell’Incontro Nazionale di Studi di Vallombrosa del 1999.
Le ACLI, recependo la lezione dell’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI del 2009, acquisiscono la consapevolezza che la crisi «ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente».
“Il Manifesto delle ACLI negli anni 2020. Per una società del lavoro”, proposto in occasione dell’Incontro Nazionale di Studi di Cortona del 2014, secondo la migliore tradizione e l’identità più profonda dell’Associazione rilancia l’inderogabile necessità di un’economia che crei lavoro “buono e giusto”, per superare l’attuale lunga crisi che non è solo economica, ma anche politica e culturale.
A cura dell’Archivio Storico delle ACLI
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75 ANNI DI FUTURO
LE ACLI FEDELI AL LAVORO