Gli anni del terrorismo in Italia si aprono con la strage di piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969. La linea delle ACLI, fin da subito, è quella di combattere questa piaga, che si propone di cancellare la speranza di un ordinato sviluppo della democrazia nel nostro Paese, con fermezza e senza scendere a compromessi.
La prima dichiarazione della presidenza nazionale delle ACLI dopo la strage di piazza Fontana esprime «la profonda indignazione di fronte alla follia del terrore e alla strategia di violenza che simili episodi rivelano».
Nella convinzione che «le istituzioni democratiche del Paese siano certamente in condizione di fronteggiare e sconfiggere episodi o velleità eversive, purché i lavoratori e le forze democratiche mantengano vigile e ferma la determinazione a non cedere il passo a nessun tentativo che intacchi le libertà fondamentali della Repubblica», le ACLI avanzano «la ferma richiesta che sia fatta piena luce sulle responsabilità dirette e indirette».
In un articolo del 2009, pubblicato su Il Giornale dei lavoratori, riflettendo su quell’evento terribile quarant’anni dopo, Giovanni Bianchi scrive che piazza Fontana, madre di tutte le stragi di matrice fascista che si susseguono fino al terrificante eccidio dell’attentato alla stazione di Bologna del 1980, per un numero complessivo di 136 morti e 570 feriti, segna la fine di un mondo e l’inizio di un altro: «da allora, anche se all’epoca non lo si poteva sapere, il terrorismo sarebbe diventato il convitato di pietra della dialettica politica nazionale».
La drammatica vicenda, nella primavera del 1978, del rapimento, del sequestro e dell’assassinio di Aldo Moro, che rischia come non mai di determinare – secondo la perspicace espressione del giornalista Sergio Zavoli – “la notte della Repubblica”, è vissuta con grande emozione e partecipazione dalle ACLI, in prima linea nella vasta mobilitazione popolare per la difesa delle istituzioni democratiche e, con il loro presidente, Domenico Rosati, coinvolte nel delicato e coraggioso tentativo di trovare spiragli per la salvezza dello statista democristiano.
Quando la tragedia politica e umana si consuma, Azione Sociale titola: Hanno assassinato Aldo Moro. Ma non potranno uccidere la democrazia.
Nel XIV Congresso Nazionale delle ACLI che si svolge a Bologna, a breve distanza di tempo, nel giugno dello stesso anno, nella relazione introduttiva, il presidente Domenico Rosati chiarisce che i tre bersagli delle [dt_tooltip title=”Brigate Rosse”]Le Brigate Rosse (BR) sono state un’organizzazione terroristica di estrema sinistra costituitasi nel 1970 per propagandare e sviluppare la lotta armata rivoluzionaria per il comunismo.
L’organizzazione entrò in crisi nei primi anni Ottanta per il suo irreversibile isolamento all’interno della società italiana e venne progressivamente distrutta grazie alla crescente capacità di contrasto da parte delle forze dell’ordine.
La denominazione Brigate Rosse è ricomparsa, dopo anni di assenza, nel 1999, per rivendicare nuovi cruenti attentati nel periodo 1999-2003.[/dt_tooltip] , «nemici senza volto, dei quali non conosciamo i mandanti, ma dei quali intuiamo con sufficiente chiarezza il disegno di distruzione», sono in primo luogo la DC, «tormentata nel dilemma tra fermezza e trattativa, ma anche sul mantenimento o sul ripudio della linea Moro; in secondo luogo il PCI o meglio, «la linea di collaborazione democratica impersonata da [dt_tooltip title=”Berlinguer”]Enrico Berlinguer è stato il Segretario del Partito Comunista Italiano dal 1972 al 1984. Teorizzò e tentò di realizzare, collaborando con Aldo Moro, il cosiddetto compromesso storico, una strategia politica che si fondava sulla necessità della collaborazione e dell’accordo fra le forze popolari di ispirazione comunista e socialista con quelle di ispirazione cattolico-democratica, al fine di dar vita a uno schieramento politico capace di realizzare un programma di profondo risanamento e rinnovamento della società e dello Stato italiani.[/dt_tooltip] »; in terzo luogo, le forze sociali e la società civile, perché, «bloccando il Paese sul dato dell’emergenza», il terrorismo punta a «annullare e disarticolare il tessuto vivo che completa la dimensione istituzionale e la dinamizza».
L’attacco, in sintesi, è rivolto «all’intero processo storico della democrazia italiana, quel processo che tra contraddizioni ed arresti e ritorni involutivi ha permesso una graduale estensione dell’area del consenso democratico attorno al nucleo di valori istituiti nella Costituzione repubblicana». Di qui l’esigenza di mantenere le condizioni di una «egemonia democratica» nel governo del paese.
Tra le tante vittime del terrorismo omicida, nuovi martiri civili dell’Italia repubblicana, Vittorio Bachelet, già presidente dell’Azione Cattolica negli anni del post Concilio, e l’economista Marco Biagi, che giovanissimo era stato vicino al Movimento politico dei lavoratori di Livio Labor: assassinati rispettivamente nel 1980 e nel 2002, sono rimasti vivi e presenti nella memoria aclista.
Ricordando Marco Biagi, una delle ultime vittime della stagione del terrorismo, il presidente Luigi Bobba, in una dichiarazione rilasciata a Vita.it, il 20 marzo 2002, sottolinea come «la soluzione positiva dei nuovi problemi sociali e del lavoro passa attraverso il dialogo, la concertazione e il lavoro comune. In un clima di scontro esasperato non si prepara nulla di buono, né per i più deboli, né per i lavoratori, né per il paese».
A cura dell’Archivio Storico delle ACLI
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- Comunicato stampa Acli, 13 dicembre 1969
- La nostra pregiudiziale democratica, Domenico Rosati dalla sua relazione introduttiva al XIV Congresso Nazionale Acli – Bologna, 15-18/6/1978
- Presenza di un amico. Vittorio Bachelet, Domenico Rosati, in Azione Sociale n.7, 17 febbraio 1980
- Hanno ucciso un uomo della mediazione e delle riforme, Luigi Bobba, in www.vita.it, 20 marzo 2002
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