In occasione del primo maggio, Festa dei lavoratori, le Acli hanno presentato la ricerca “Lavorare pari: dati e proposte sul lavoro tra impoverimento e dignità”, realizzata dall’Area Lavoro ACLI in collaborazione con l’IREF e il CAF Acli. Lo studio delinea la situazione economica e lavorativa di migliaia di persone in Italia, attraverso l’analisi di oltre 760.000 dichiarazioni dei redditi 2021, su un totale di 1.326.573 modelli 730 presentati presso il CAF ACLI.
Emerge che il 14,9%, pur lavorando, ha un reddito inferiore o pari a 9.000 euro. Se si considerano anche i redditi complessivi inferiori o uguali a 11.000 euro, ovvero quelli dei lavoratori poveri (working poor), si arriva ad una percentuale di lavoratrici e lavoratori pari al 19,5%; mentre si raggiunge il 29,4% tra quanti hanno un reddito complessivo che non va oltre i 15.000 euro e che possiamo definire “vulnerabili”, ovvero a rischio di povertà di fronte ad un evento inaspettato o fuori dall’ordinario (una malattia, un divorzio o perfino la nascita di un figlio).
Le donne e i residenti al Sud hanno redditi più bassi. A scontare una peggiore condizione reddituale sono i residenti nelle regioni del Sud e le donne. Nel dettaglio, queste ultime sono il 21,7% delle persone che possono contare su 9.000 euro annui (gli uomini il 7,1%). Le lavoratrici che hanno redditi inferiori o uguali a 11.000 euro sono il 27,9% (gli uomini il 9,8%) e sono il 40,9% delle persone povere o comunque vulnerabili.
Il 27,2% dei residenti al Sud o nelle Isole ha un reddito fino a 9.000 euro, il 33,5% arriva a 11.000 euro e, infine, il 44,4% può contare fino a 15.000 euro. Se si considera la fascia tra i 40 e i 54 anni, cioè uomini e donne nel pieno della loro vita attiva, coloro che non superano i 9.000 euro di reddito sono il 10 per cento in più della media nazionale (19,8% rispetto al 9,8%). Tuttavia è alto il dato dei vulnerabili anche nel nord, che resta sopra un quarto del totale.
Il lavoro povero è prerogativa dei giovani. Le diseguaglianze di reddito sono più marcate tra i giovani. Ha, infatti, un reddito fino a 9.000 euro il 28% dei giovani fino a 29 anni (dato che arriva al 31,7% nel caso delle giovani donne). Questa percentuale diminuisce significativamente nelle classi di età successive (12,5% 30-34 anni; 11,3% 35-39 anni; 9,8% 40-54 anni) per poi tornare a crescere tra coloro che hanno un’età compresa tra i 55 e i 60 anni (11,4%) e poi raggiungere addirittura il 30,3% tra chi ha più di 60 anni. Non diminuisce però il divario di genere che, al contrario, dopo i 29 anni aumenta in modo costante: in tutte le classi di età le donne con redditi che non vanno oltre i 9.000 euro sono almeno il dieci per cento in più degli uomini e tra gli ultrasessantenni le donne con i redditi al di sotto dei 9.000 euro sono il 43,7%, rispetto al 7,2% degli uomini.
Un lavoro stabile non basta per le donne. Il quadro complessivo che ci viene restituito dai dati è quello di percorsi di carriera piatti in cui è difficili uscire da una condizione di lavoro povero o di vulnerabilità. Anche il divario di genere tra i redditi percepiti tende a permanere sia che i/le dichiaranti abbiano lavorato continuativamente durante l’anno, sia che abbiano lavorato in maniera discontinua (ovvero, non per tutto l’anno). Si può, quindi, supporre che il lavoro da solo non sia sufficiente a riscattare la condizione di svantaggio delle donne e che la fragilità reddituale del genere femminile non muti considerando la condizione lavorativa delle dichiaranti.
“Dobbiamo rimuovere le diseguaglianze che si creano nell’iniqua distribuzione della ricchezza dentro il rapporto tra lavoro e massimizzazione di profitti e speculazione”, ha commentato Stefano Tassinari, Vicepresidente nazionale Acli, responsabile Area Lavoro, durante la presentazione della ricerca.
Salario minimo. Le Acli hanno proposto alcune azioni concrete per garantire dignità e lavoro ad ogni cittadino. “Serve subito un salario minimo, rendendo obbligatorio il riferimento, come già avviene in diverse norme, ai minimi dei contratti sottoscritti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, anche con misure d’urgenza e reinserendo la scala mobile solo come penalizzazione contro i ritardi eccessivi nei rinnovi contrattuali”. “Inoltre”, ha continuato Tassinari, “dobbiamo promuovere nelle aziende, la formazione, la partecipazione dei lavoratori e tempi di lavoro migliori e conciliazione. La Pubblica Amministrazione, invece, deve ricorrere solo a contratti veri e solidi in tutto il suo indotto”.
Le Acli propongono di individuare una soglia di Guadagno Massimo Consentito. “Il lavoro si è impoverito e reso diseguale da un eccesso di arricchimento sproporzionato. Pensiamo a manager con buone uscita 10.000 volte quelle di un lavoratore, a tanta speculazione finanziaria mai messa al centro di riforme coraggiose, a un fisco che sempre più premia i più ricchi con sconti, deduzioni e timide aliquote alle multinazionali e che in ultimo invece di combattere i paradisi fiscali cerca di imitarli”.
Un’altra proposta avanzata è un piano straordinario per l’occupazione femminile. “Metà delle donne sotto i 35 anni pur lavorando sono in condizioni di povertà o di vulnerabilità ovvero se decidono di avere un figlio, visti i costi che comporta, decidono di sedersi sulla soglia della povertà”.
Infine, le Acli auspicano che si punti a politiche attive per il lavoro, gestite da comuni e Terzo Settore, per arrivare ad aprire delle innovative Case del lavoro. “Dobbiamo partire dalle scuole, rimettendo al centro l’educazione, l’apprendimento cooperativo e un accompagnamento e orientamento personalizzato”.
In allegato il documento con la ricerca completa, regione per regione; la sintesi della ricerca; le proposte delle Acli per combattere il lavoro povero e la locandina con le proposte.
SINTESI RICERCA “LAVORARE PARI” E PROPOSTE
RICERCA “LAVORARE PARI” CON REGIONI
PROPOSTE ACLI CONTRO LAVORO POVERO
LOCANDINA PROPOSTE LAVORARE PARI