La spiritualità di Romero: la scelta dei poveri e la verità del Vangelo

Articolo di: don Antonio Agnelli, accompagnatore spirituale Acli Cremona

 

Papa Francesco ha riconosciuto il martirio in odio della fede di Oscar Arnulfo Romero vescovo di San Salvador e ucciso mentre celebrava la Santa Messa il 24 marzo 1980. E’ stato beatificato il 23 maggio 2015.

 

Entriamo ora nel cuore profondo della sua spiritualità intendendo per spiritualità non un vago spiritualismo, ma il lasciarsi guidare dallo Spirito Santo che agisce nell’intimo della coscienza e della vita, orientando la persona, in questo caso un vescovo a lasciarsi trasformare e plasmare dalla sua azione imprevedibile e gratuita. La fede è sempre stata per Romero la stella polare della sua esistenza, il centro di gravità permanente all’origine della sua vocazione, studio, missione, annuncio del Vangelo, custode della tradizione della chiesa e della capacità di porsi come difensore del popolo di Dio nei confronti di chi uccideva e massacrava coloro che facevano richieste legittime e umane.

 

La sua spiritualità, il suo lasciarsi guidare dallo Spirito, lo ha portato ad esprimere tale radicamento nella fede, coniugando la sua assoluta fedeltà al Vangelo con la scelta imprescindibile per i poveri. Lasciamoci quindi guidare dalle sue parole, dalle sue omelie, guida inestimabile del Pastore che si è preso cura fino al martirio del suo gregge.

 

E’ inconcepibile che alcuni si dichiarino cristiani e non facciano come Cristo una opzione preferenziale per i poveri. E’ uno scandalo che oggi alcuni cristiani critichino la chiesa perché pensa ai poveri”. (Omelia del 9 settembre 1979)

 

Fede in Cristo Figlio di Dio morto e risorto, annuncio del suo regno,  e scelta per i poveri sulle orme di Gesù stesso, sono elementi per Romero inseparabili.

 

Quando disprezziamo il povero, coloro che raccolgono caffè, cotone o tagliano la canna da zucchero, il contadino che va in gruppo peregrinando  a lavorare cercando il sostentamento  per tutto l’anno, fratelli pensiamo, non lo dimentichiamo, in loro c’è il volto di Cristo. Volto di Cristo presente nei torturati e maltrattati nelle carceri. Volto di Cristo presente nei bambini che muoiono di fame perché non hanno da mangiare. Volto di Cristo presente nel bisognoso che chiede di aver voce nella chiesa”. (Omelia del 26 novembre 1978)

 

La fede in Cristo quindi non è un velo che copre le brutture della storia, ma la luce che spinge lo sguardo fino in profondità, fino a riconoscere nel volto degli impoveriti, torturati, affamati, non solo i lineamenti di chi soffre umanamente ingiustizia, ma lo stesso e medesimo volto di Cristo, la sua presenza viva, palpitante, scandalosa, provocante e salvificca.

 

Cristo insiste nelle sue apparizioni: Toccatemi, sono io! Sono lo stesso Cristo storico che, attraverso la Pasqua di morte e risurrezione, vivo incarnato sulla terra. Sono il Cristo salvadoregno. Cristo vive nel Salvador. Cristo vive in Guatemala. Cristo vive in Africa. Il Cristo storico. Dio fatto uomo vive in tutti i tempi della storia, in tutti i popoli del mondo. Questa è la caratteristica del Cristo vivo e presente”. (Omelia del 2 aprile 1978)

 

Il Cristo storico, presente nella storia come risorto e vivente, spinge la chiesa a rifare le sue scelte, a mettersi al fianco dei poveri per annunciare il regno di Dio a tutti.

 

Arriviamo adesso alla opzione preferenziale per i poveri. Non è demagogia è Vangelo puro. Se noi ci preoccupiamo della situazione dell’impoverito, del piccolo, non in un modo qualsiasi, ma perché rappresenta Gesù, perché  la fede ci apre all’umile, all’emarginato, al povero, al malato. Guardare in essi Gesù è la trascendenza. Quando non si vede in esso che un rivale, un imprudente, qualcuno che viene a rovinarmi la festa, naturalmente il povero dà fastidio. Però quando si abbraccia nel modo in cui Cristo abbracciò il lebbroso, o come il buon samaritano cura il ferito lungo la strada, facendolo a loro, come se lo si facesse a Cristo, in questo consiste la trascendenza, senza la quale non è possibile una prospettiva di giustizia sociale, ovvero considerare Cristo presente negli impoveriti”. (Omelia del 30 settembre 1979)

 

Capite l’intuizione profonda di Romero, all’interno dell’alveo pastorale e teologico dell’America Latina del suo tempo: non ci può essere giustizia sociale se non riconoscendo Cristo nei poveri. Si trattava per Romero di annullare l’accusa di ideologia ma senza rinunciare di una virgola all’impegno a favore dei poveri considerati presenza viva e provocante di Cristo.

 

Ancora un brano delle sue omelie:

 

Questo è l’impegno dell’essere cristiano: seguire Cristo nella sua incarnazione. E se Cristo è il Dio maestoso che si fa uomo umile fino ad accettare la morte degli schiavi e vive con i poveri, così deve essere la nostra fede cristiana. Il cristiano che non vuole vivere questo impegno di solidarietà con il povero, non è degno di chiamarsi cristiano”. (Omelia del 17 febbraio 1979)

 

Vivere la verità del Vangelo significa per Romero guardare il cielo ma rimanendo fedele alla terra. Annunciare il regno di Dio che si compirà oltre la storia e nel contempo mordere le questioni vitali per inserirvi il lievito trasformante del Vangelo, la forza propulsiva della parola di Dio che rigenera cuore, mente, volontà, responsabilità, strutture, relazioni personali e comunitarie.

 

Romero aveva ben chiaro che l’amore di Dio in Gesù è per tutti, senza distinzioni. A tutti egli domanda: convertiti. Ma la strada della conversione è differente. Ai ricchi, potenti, possidenti richiede un cambiamento del loro modo di vivere: uno staccarsi dalla loro adorazione delle ricchezze  e volgersi, essi stessi,  a migliorare la condizione umana dei poveri.

 

Concludendo, un frammento di un’altra omelia: 

 

Ciò che segna per la nostra chiesa, il limite della sua dimensione politica è precisamente il mondo dei poveri… a seconda che vada a vantaggio del popolo povero, la chiesa appoggerà a partire dalla sua specificità, l’uno o l’atro progetto politico… questo è quanto la chiesa desidera fare anche in questo momento della nostra omelia: appoggiare quanto dà beneficio al povero e denunciare tutto quanto è un male per il popolo”. (Omelia del 17 febbraio 1980)

 

Dunque la predicazione e la vita stessa di Romero sono stati buona notizia per i poveri: Vangelo vivente che ha tenuto assieme per opera dello Spirito: trascendenza, immanenza, condiscendenza.

 

Trascendenza: il Vangelo è dono che viene dall’alto, immeritato e gratuito.

 

Immanenza: Esso però si inserisce nella storia e ne modifica le relazioni, le decisioni, le prospettive.

 

Condiscendenza: esso non è altro che l’amore totale di Dio in Gesù che perdona e che si prende cura degli  abbandonati e impoveriti, a partire dai quali inizia a costruire il suo regno sulla terra.

 

Agire a loro favore, come ha detto Romero, altro non è se non Vangelo puro.