Le parole hanno un’anima e concorrono a costruire e a condividere la realtà e ad edificare cultura. Scuola è una di queste: dalla radice antica, ricca di significati e suggestioni, certamente suscita e rievoca, in ognuno di noi ricordi, emozioni, sentimenti, pensieri.
E continua ad essere una parola imprescindibile, pregnante e solida che ricorda e rimanda ad una istituzione che affonda le sue radici nella storia dell’umanità pensante. Skholè, nella cultura classica greca, indicava l’ozio, il tempo libero ben impiegato e per estensione la lezione ed anche il luogo dove tutto ciò accadeva. Oggi facciamo certo fatica ad immaginarla come uno spazio di svago. La scuola, lo studio, l’apprendimento sono diventate un diritto imprescindibile per ogni società civile. Da qui ha inizio non solo il futuro, ma anche il presente; qui si insegnano non solo le materie, ma la partecipazione, la solidarietà, l’uguaglianza nel diritto, l’integrazione. Una scuola fatta di spazi e tempi dove l’esperienza democratica si fa vita quotidiana, crescita, apprendimento, cultura.
La scuola, per la sua natura, richiede tempi lunghi perché l’apprendimento è un processo complesso che accompagna la crescita: necessita di cura e comporta progettazioni e programmazioni che permettano a tutti di raggiungere, nessuno escluso, i risultati possibili nel rispetto delle specificità di ogni persona.
La scuola ha tempi lunghi anche perché, in quanto istituzione vive dentro un sistema che, per le sue diverse articolazioni e interconnessione, è oltremodo complesso. Come ogni istituzione tende a modificarsi, rispetto alle sollecitazioni interne ed esterne, dentro due polarità: la rigidità, che tende alla conservazione dell’identità e, al polo opposto la flessibilità, che tende a trovare risposte più immediate ma nello stesso tempo che rischiano di modificare la struttura interna e le sue stesse funzioni.
Ed eccoci al punto: di fronte ad una situazione inedita come quella che stiamo vivendo in queste ultime settimane, la scuola come sta rispondendo? Quali sono i dispositivi che ogni scuola, di ogni ordine e grado dalla scuola materna all’università ma anche la formazione professionale, sta cercando di attuare e proporre per dare risposta al diritto di apprendere anche in un momento in cui è fatto divieto di uscire da casa?
Il ministero della pubblica istituzione sta stanziando fondi straordinari per la realizzazione di piattaforme per la didattica a distanza sulla base di una legge del 2015 e provvedendo anche con sussidi informativi per gli insegnanti con condivisione di esperienze. Allo stesso tempo, chiunque ha figli chiusi in casa sta sperimentando, in questi giorni, la creatività e la disponibilità di moltissimi insegnanti e formatori che, al di là di ogni dispositivo, stanno cercando di mantenere un filo, di continuare ad essere presenti come persone, ma anche come istituzione, garantendo lezioni, proponendo attività, offrendo approfondimenti: ognuno con gli strumenti che ha a disposizione. Arrivano così messaggi, video, filmati, incontri via skype e molto altro.
È evidente che di fonte all’emergenza la scuola e la formazione professionale sta rispondendo con flessibilità e senso di responsabilità. Ma tutto questo, mantenendo salda la tensione tra rigidità e flessibilità, può rappresentare un rischio? La scuola può rischiare di perdere la sua caratterizzazione primaria di luogo di incontro e di costruzione di relazioni di apprendimento in presenza tra insegnanti, maestri, docenti ed allievi?
È un rischio che dobbiamo correre: ma non va dimenticato che anche dietro la tecnologia ci sono sempre persone, idee, saperi che sono animati dal desiderio di continuare ad esserci. La tecnologia ci viene in aiuto, sostiene e coopera per il mantenimento di relazioni educative che, altrimenti, avrebbero rischiato di spezzarsi. Ed è così che, mai come oggi, il mezzo perde la sua funzione algoritmica per rivestirsi di umanità, là dove primario rimane il desiderio di essere vicini, di sostenersi, di accompagnare per affrontare assieme l’inedito.
Del resto ci sono ormai diffuse esperienze in ambito scolastico che del mezzo tecnologico hanno fatto lo strumento primario della relazione educativa, di apprendimento e con il mondo: una di queste è la scuola in ospedale e l’istruzione domiciliare, ispirate dal dettato costituzionale agli articoli 3 e 34. Si tratta di un’esperienza che va incontro alle necessità di bambini/e e ragazzi/e che sono sottoposti a degenze di lunga durata. In questi casi la tecnologia diventa uno strumento imprescindibile, in particolare quando le cure impediscono il contatto con il mondo esterno.
A questo riguardo credo illuminante questa lettera, inviata a Tiziana Catenazzo, coordinatrice nazionale per la scuola in ospedale e l’assistenza domiciliare, di Sara Angela Ciafardoni: una scrittrice di 14 anni, già autrice del Con tutto l’amore che so, costretta a casa da una malattia rara, pubblicata su Repubblica alcuni giorni fa:
Cara Tiziana, il coronavirus, come epidemia ed emergenza sanitaria, ha colpito il nostro paese in un momento di grande fragilità. Le scuole resteranno chiuse fino al 3 aprile e, con esse, bar, negozi, ristoranti, sospese anche tutte le attività sportive e culturali, cinema e tutto ciò che fosse punto di incontro per i ragazzi e non. Siamo costretti, per il bene di tutti, a restare a casa, ma lo sconforto di tutti è grande. Non è del tutto grave restare a casa, al contrario, dovremmo preoccuparci di salvare le nostre vite. Lo so, in molti penseranno: per te non cambia nulla, sei sempre a casa su di un letto. Non è così. Le misure che il governo ha messo in atto hanno penalizzato la mia vita. La chiusura delle scuole ci obbliga a farci molte domande. Bisogna trovare risposte adeguate e sperimentare soluzioni creative che siano inclusive per tutti gli studenti e non lascino nessuno indietro. Si parla di lezioni on-line, ma non si tiene conto che ci sono famiglie che non hanno internet oppure ragazzi con disabilità intellettive che non riescono a fare, da soli, i collegamenti. Il Covid19, forse, è l’opportunità per far sì che la scuola possa trasformarsi e fare un salto di qualità verso i ragazzi e verso i bisogni di ciascuno al fine di essere più inclusivi verso le diversità. La scuola, per me, è ossigeno, io attingo forza dallo studio però, invece che lamentarmi cerco, nonostante il mio essere e restare ferma, di creare rete con i miei compagni di classe. Nella vita ho dovuto superare battaglie grandi, quindi la mia prospettiva verso questo periodo è quella di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Forse, questi giorni, possono farci comprendere come nella vita nulla è certo. Forse, per la prima volta, anche la chiesa, luogo di aggregazioni per i ragazzi, si trova ad affrontare la Quaresima in modo diverso, meno cenere esteriore sul capo e più cenere interiore. Questa Quaresima che ci spinge a guardare dalla finestra, seppure con sospetto, seppure con diffidenza, ci mette in discussione. Forse è proprio questo il momento perfetto per ripartire con il piede giusto verso un viaggio chiamato “Amore”. Ci basta un virus e tutto ci riporta nella stessa posizione, nessuna differenza. Per la prima volta mi sento uguale ai miei compagni, all’improvviso la vita ti porta ad essere come uno che aspetta lo start ad inizio gara. Sapete qual è la posizione in cui i velocisti attendono? Non in piedi, ma con occhi puntati a terra, in ginocchio posizione che lo aiuta ad avere uno scatto maggiore. Anche noi in questi mesi siamo partiti da questa posizione: con l’umore basso, con lo sguardo verso il basso. È bastato poco a bloccare la presunzione umana: ci sono ragazzi disabili che da tempo mangiano polvere, ora tocca un po’ di terra a tutti per capire cosa significa vivere in una stanza notte e giorno. Possiamo maledirlo questo periodo o benedirlo. Benedirlo perché ci porta a guardare la vita con un cuore più umile un cuore che grida: io esisto! Le chiedo, e se questo fosse il momento perfetto per curare i rapporti con gli altri, per vedere finalmente una famiglia che pranza, o cena, tutti insieme?! Mi ripeto sempre: dopo una tempesta arriva sempre il sereno. Auguro ai dirigenti scolastici di tutta Italia di aiutare i ragazzi con gravi disabilita’ e le loro famiglie, di studiare strategie che colmino l’assenza della presenza fisica dei docenti di sostegno. Grazie e perdoni gli errori, i miei occhi ci sono giorni che mi tradiscono, ma io non smetto di scrivere”.
Erica Mastrociani
Consigliere di Presidenza Acli con delega alla Formazione e alla Cultura