Ancora lavoratori, prevalentemente stranieri, sfruttati nelle campagne della piana di Sibari pagati un euro al giorno, minacciati e costretti ad una condizione di semi schiavitù. Quello del 25 gennaio scorso è in ordine di cronaca solo l’ultimo caso denunciato dalla Guardia di Finanza della provincia di Cosenza nel corso di controlli per contrastare il fenomeno del caporalato e della intermediazione illecita di manodopera.
«Ci chiediamo – commenta il responsabile nazionale delle Acli per l’Immigrazione, Antonio Russo – per quanto tempo ancora dovremo assistere al ripetersi di un fenomeno che nutre i circuiti della malavita organizzata e dell’illegalità offendendo la dignità umana e del lavoro. Quali e quante responsabilità si sommano tra chi lucra sulla vita dei lavoratori e chi si trincera dietro imbarazzanti “non immaginavo o non sapevo”.
Certo – continua Russo – se il legislatore sostituisse le quote di ingresso con un regolare permesso di soggiorno per ricerca lavoro, già faremmo un apprezzabile passo avanti. Attraverso questo provvedimento, oltre ad infliggere un duro colpo ai caporali, si favorirebbe l’emersione del lavoro irregolare con tutto ciò che questo ne conseguirebbe.
Mettere fine alla piaga del caporalato – conclude il responsabile delle Acli per l’Immigrazione – è senz’altro prima che un dovere una scelta di civiltà in una fase storica in cui, a seconda delle situazioni, i diritti umani appaiono declassati al rango di mere scelte facoltative».