Il 15 gennaio sarà celebrata la 103esima giornata del migrante e del rifugiato. La commemorazione è stata istituita da Benedetto XV già nel lontano 1914, preoccupato, allo scoppio della prima Guerra mondiale, della tragica situazione di centinaia di rifugiati e profughi espulsi dai Paesi europei tra loro in conflitto. Da allora nulla è cambiato, se non la dimensione e l’inarrestabilità del fenomeno migratorio.
Guerre, regimi totalitari, povertà e disastri ambientali sono ancora le principali cause che spingono molte persone – oltre 63 milioni – a lasciare le loro terre.
Ma ci sono due questioni drammaticamente nuove che si aggiungono a questo dato: l’enorme flusso di minori stranieri non accompagnati che arriva in Europa, prevalentemente via mare. Al 31 ottobre 2016 i minori sbarcati in Italia sono stati quasi 24.000, praticamente il doppio rispetto all’anno precedente.
Infatti, è proprio a questi ultimi che viene dedicata la giornata del migrante 2017, “perché sono minori, perché stranieri, perché inermi”, quindi, tre volte indifesi, per dirla con le parole del Papa.
E poi ci sono quelli che in Europa non sono mai arrivati, perché morti in mare. Nel 2016 sono stati oltre 5.000: uomini, donne e bambini.
Oggi l’unica reazione dei paesi Ue è stata quella di contrastare l’ingresso di queste persone, erigendo muri. In altre parole, la Fortezza Europa, anziché gestire la questione migratoria con un’equa suddivisione di oneri e responsabilità, ha tentato di risolverla con l’edificazione di muri visibili – barriere, fili spinati, Cie, hotspot – e di muri invisibili.
La riduzione delle operazioni di ricerca e soccorso in mare e gli accordi con la Turchia e altri paesi dell’Africa (esternalizzazione delle frontiere) sono operazioni che tentano solo di “salvare la faccia”, demandando ad altri la questione. Inoltre, la gestione delle persone che sono riuscite a superare la Fortezza Europa, ha sempre avuto carattere emergenziale, determinando spesso un notevole ritardo nella gestione degli arrivi e un abbassamento degli standard di accoglienza e di sicurezza.
“In questo quadro – afferma Antonio Russo, responsabile Immigrazione delle Acli – e sulla scia dei sì e dei no chiari pronunciati da monsignor Nunzio Galantino in occasione della Conferenza stampa del 10 gennaio, anche noi vorremmo comunicare i nostri sì e i nostri no: rifiutiamo la misura preventiva dei Cie e degli hotspot – regionali, nazionali o sovranazionali che siano – poiché queste strutture sono fondate sulla rappresentazione dello straniero come un pericolo sociale, politico e sanitario. Inoltre, sono inutilmente costosi e inefficaci, perché rappresentano niente di più che carceri a cielo aperto. Rifiutiamo anche l’attuale pratica xenofoba di smistamento sommario e di espulsione degli stranieri senza titolo di soggiorno, contro la loro volontà e con la forza, pratica che calpesta i più elementari diritti umani”.
Le Acli dicono invece sì a una seria politica europea sull’immigrazione, capace di rispondere all’urgenza della situazione umanitaria alle frontiere e sul territorio dell’Unione; all’apertura di corridoi umanitari; all’immediata chiusura dei Cie; all’abolizione della Legge Bossi Fini e al testo unico sull’immigrazione e allo sviluppo più strutturato e ampio dello Sprar.
Infine, visto che la giornata è dedicata quest’anno ai minori stranieri, le Acli chiedono con forza l’approvazione al Senato di due leggi, quella relativa al diritto di cittadinanza e quella sulle misure di protezione dei minori stranieri.
Quest’ultima, se superasse lo scoglio del Senato, rappresenterebbe in Europa l’unica legge omogenea sul tema. “L’approvazione di queste due norme – riprende Antonio Russo – tutelerebbe, da una parte, i minori che stanno arrivando in Italia e che iniziano or ora il loro percorso di inclusione; dall’altra aumenterebbe i diritti di coloro che hanno già percorso un pezzo di strada nel nostro Paese ma che non sono ancora cittadini a pieno titolo”.