Parlare di casa a 20 giorni da un terremoto che di case e di vite ne ha distrutte tante.
Parlare di casa dopo un’enciclica straordinaria, “sulla cura della casa comune”.
Parlare di casa e di popolo e di democrazia insieme.
Parlare di casa con due architetti che citano un Papa “architetto” (anzi, pontefice), uno dei quali si occupa di senza fissa dimora e l’altro di cooperative di abitanti, ovvero di “individui che si uniscono volontariamente per soddisfare i propri bisogni economici, sociali e culturali e le proprie aspirazioni, attraverso la creazione di una società di proprietà comune controllata democraticamente”.
Ecco, tutto ciò ha reso ancora più denso il contenuto del gazebo Casa popolare: come trasformare gli spazi urbani nella “casa comune. Architettura popolare e housing sociale», nel quale – sin dal titolo – abbiamo voluto sottolineare la possibilità che ciascuno di noi, abitante di un territorio, ha – o può avere – di intervenire sulla progettazione / riqualificazione urbana e sulla costruzione degli spazi sociali nella direzione di realizzare il “bene comune”.
Obiettivo dell’incontro era infatti – per dirla con le parole dell’arch. Giuseppe Milanesi, chiamato ad aiutarci a dipanare questo complesso e intricato tema – “quello di condividere e confrontarci su alcuni principi fondamentali in merito all’accesso alla casa, alla qualità dell’abitare, allo spazio percorribile da ciascuno di noi per essere soggetti attivi e significativi nel processo di trasformazione del territorio che è anche trasformazione della società”.
Ad introdurre i lavori del Gazebo, mettendo in campo i tanti aspetti coinvolti, è stato Antonio Russo, componente la presidenza nazionale ACLI con delega a “Politiche sociali e Welfare”.
Pur essendo l’esperienza dell’abitare una pratica “comune”, pensare di poterne fare discorso collettivo, fuori dalla “privatezza” che il termine immediatamente richiama, dev’essere stato percepito con qualche difficoltà. Il Gazebo è stato infatti tra i meno numerosi, anche se partecipatissimo in termini di dinamicità degli scambi.
Nel tempo ridotto dei lavori, le 20 persone presenti – territorialmente rappresentanti le diverse aree del Paese – sono intervenute quasi tutte, dopo l’ampia esposizione di Giuseppe Milanesi e la presentazione delle esperienze da parte di Alessandro Galbusera, vicepresidente delle Acli milanesi e Responsabile Sviluppo Associativo e politiche dell’abitare.
L’intervento di Giuseppe Milanesi ha toccato diversi punti:
Antropologia dell’abitare. La casa è uno dei bisogni fondamentali dell’essere umano. Il suo valore non è spiegabile con la semplice funzione di riparo dagli agenti atmosferici e dalle insidie di animali o nemici. La casa è il “contesto vivente a cui sentiamo di appartenere”, che ci distingue (il “casato”) e che si trasmette (di generazione in generazione, come bene “durevole”). Attraverso di lei possiamo capire l’evoluzione umana e dei costumi (abitazione, habitat, abitudine, abito…).
Diritto alla casa. Esiste davvero un diritto alla casa? La Repubblica – è scritto all’art. 47 della Costituzione – “favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”, e si assume “il compito rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” (art. 3). Come? La questione è intricata. Gli interventi da attuare non possono essere di natura solo alloggiativa o solo sociale (v. oltre), pena la ghettizzazione dei soggetti.
La casa come fattore di recupero sociale. Cosa vorresti? Casa e lavoro… in quest’ordine. Gli approcci cosiddetti housing led e housingb first partono dal concetto di “casa” come diritto e come punto di partenza dal quale la persona senza dimora può avviare un percorso di inclusione sociale.
Secondo l’housing first solo l’accesso ad una abitazione stabile, sicura e confortevole può generare un benessere diffuso.
Il “problema” degli architetti. E’ necessario rovesciare il paradigma per cui l’architetto detta il bisogno invece che ascoltarlo. Ripensare in funzione sociale e non solo tecnica la formazione degli architetti, perché disegnino gli spazi della vita sociale e collettiva pensando a chi li abita e al fatto che “il fatto più importante [della casa] è la possibilità di scelta continua, fra la vita collettiva e la libertà dal controllo sociale, la possibilità di scelta fra la solitudine e la compagnia, fra il chiuso e l’aperto, fra il chiasso e il silenzio…” (L. Quaroni).
Quali politiche? Economico deve voler dire per forza brutto e cattivo?
Nessuno può dire con precisione se le vele di Scampia sono come le conosciamo per colpa di chi le abita o se chi le abita è portato a delinquere perché si trova a vivere in alveari impersonali. Di certo starci non è aspirazione diffusa e questo perché chi le ha progettate ha dimenticato quanto necessita alla dimensione spirituale dell’essere umano. E’ inevitabile la costruzione di ghetti? Il confinamento e l’omologazione che quel disegno determina?
Tre termini lasciati in campo / tre raccomandazioni:
mixitè, ovverono ai quartieri ghetto
estensività, ovvero no ai ghetti “verticali”: grandi masse di persone in spazi ristretti amplificano i problemi naturalmente esistenti nelle comunità umane
tecnologia, ovverocostruzioni performanti a costi contenuti.
Alessandro Galbusera ha presentato l’esperienza del Consorzio Cooperative Lavoratori – promosso dalle ACLI milanesi e da CISL Milano – attraverso il suo Bilancio sociale.
Nato per assicurare una risposta alle esigenze abitative dei soci e delle loro famiglie tramite alloggi di proprietà o in affitto, il Consorzio opera in spirito mutualistico, applicando in ogni azione il principio del puro frazionamento dei costi, senza alcun profitto.
Per il Consorzio la casa è un bene primario che assicura le condizioni di base per la tutela della dignità della persona e della famiglia: “Quelle che costruiamo sono case di qualità, a costi equi e sostenibili dal punto di vista ambientale e, al di là dei semplici edifici, costruiamo veri e propri spazi di socialità, aperti agli abitanti e al quartiere”.
La casa e le relazioni affettive sono elementi fondamentali nella vita di ogni essere umano. Le politiche edilizie intervengono – consapevolmente o meno – su queste due dimensioni, incrociando le politiche di welfare. Il tema dell’abitare è questione sociale, ma come si definiscono i bisogni dei soggetti e delle comunità? E come si stabiliscono i parametri di sicurezza? Come si partecipa questo primario valore, che è – insieme e indissolubilmente – privato e “comune”?
L’esperienza del Consorzio ha attraversato e risposto a molti di questi interrogativi, li ha tenuti presenti, creando volta a volta sperimentazioni gestionali e nuove iniziative.
La casa, in sintesi, al termine del gazebo: la casa risponde a più di un bisogno, è più di un luogo, vale più del suo valore economico, non è (solo) una dimensione privata.
Quattro proposte
Mappare le esperienze Acli nel territorio e le deleghe esistenti sul tema dell’abitare, per valorizzarle e riprodurle
Rimettere al centro la questione dell’abitare come elemento di cittadinanza attiva, anche attraverso la creazione di “osservatori” territoriali sulle scelte urbanistiche
Ripartire dalla gestione degli spazi comuni come esperienza comunitaria di progettazione partecipata
Proporsi come soggetti in grado di rimettere in dialogo – e in discussione – i diversi attori coinvolti, dalle istituzioni locali, alle realtà associative, alle categorie professionali, ecc.