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La casa della comunità, per una nuova salute pubblica

“Dobbiamo chiudere la fase dei tagli nella sanità e passare a quella degli investimenti perché ogni euro speso per la salute di un cittadino è un euro speso per il bene della collettività” Così il Ministro della Salute, Roberto Speranza ha iniziato il suo intervento durante il convegno organizzato dalle organizzato dalle Acli con l’Associazione Prima la comunità, l’Associazione Salute Diritto fondamentale in collaborazione con la Rete Salute Welfare Territorio. “Sulle Case della  comunità mettiamo 2miliardi, arriveremo a farne 1350 e devono essere il primo luogo di presa in carico: quando il cittadino vive un problema lì dovrà trovare le prime risposte e poi verrà guidato verso un percorso. Io immagino un luogo in cui sanitario e sociale sono in relazione, dove la presa in carico sia multidisciplinare e venga fatta da personale specializzato, con una formazione specifica che dobbiamo implementare. La casa della comunità deve essere un tassello per cambiare il nostro Sistema Sanitario, farlo diventare più di prossimità, più legato al territorio, per questo punteremo anche sull’assistenza domiciliare.”

“Questa idea della casa di comunità è centrale per una politica che vuole svolgere un ruolo generativo e innescare processi inclusivi.  – ha dichiarato nel suo intervento il Presidente nazionale delle Acli, Emiliano Manfredonia – L’investimento previsto dal PNRR può dare inizio a un vero cambio di paradigma perché le case di comunità non sono solo la sommatoria di quello che c’è già ma qualcosa di più che si sostanzia nella risposta che deve vedere la salute come diritto fondamentale dell’individuo, nell’interesse generale della comunità. Lavoriamo insieme affinché la salute diventi uno spazio per tutti, come diceva Don Milani della scuola.”

“Occorre riorientare la medicina verso nuovo paradigma del prendersi cura in modo unitario e globale – ha aggiunto Margherita Miotto, Vicepresidente dell’Associazione Salute Diritto fondamentale  – Ma dobbiamo vigilare affinché non sia solo un cambiamento di facciata, ecco perché è necessario superare la vecchia opposizione tra sanità e territorio, superare le frammentazioni nelle prestazioni sanitarie e recuperare un approccio multidimensionale delle cure primarie.”

Dopo il Saluto di Miotto e Manfredonia è intervenuto anche il Vicepresidente delle Acli, Antonio Russo: “La nuova casa di comunità non può essere un operazione da laboratorio – ha detto Russo – perché si tratta di un passaggio fondamentale per rafforzare il welfare sociale e dare forma ad un nuovo modello di sanità pubblica, alla luce di quello che è successo con la pandemia. Già il fatto che si chiamino case e non ambulatori ci fa capire che è un nuovo modello sociosanitario in cui non ci si limita ad offrire un servizio ma si cerca di soddisfare delle necessità di cura a 360° gradi. Noi ci siamo e riaffermiamo qui che siamo pronti a fare la nostra parte.”

Il fondatore di Prima la comunità, Don Virginio Colmegna, ha esposto i punti del Manifesto La casa della comunità: la salute per tutte e per tutti concentrandosi sulla necessità di “superare la logica prestazionistica dove il paziente diventa un cliente consumatore –   ha detto Don Colmegna – mentre l’elemento fondamentale dovrà essere sempre di più la centralità della persona. Ecco perché il nostro appello chiede prima di tutto una mobilitazione culturale che riaffermi la salute come diritto universale dove non si può mai escludere nessuno, tantomeno i più fragili. Non vogliamo fare nessuna lotta agli ospedali, perché sappiamo che hanno una funzione importantissima, la casa della comunità deve essere altro, un luogo dove i cittadini progettano e si danno da fare, insieme, per la salute di tutti. Siamo coscienti che servirà anche un cambiamento nei percorsi universitari perché avremo bisogno di nuove figure professionali.”

A commentare il manifesto è stato il Ministro della Salute, Roberto Speranza: “abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti per realizzare questo grande cambio e le istituzioni devono sicuramente essere il motore ma poi ci vuole una forte spinta dal basso, dalle associazioni, dal territorio e da tutto il mondo del Terzo settore.”

Dopo l’intervento del ministro si sono susseguiti gli interventi di tre professori che hanno analizzato il nuovo modello alla luce del PNRR, sollecitando il dibattito su alcune possibili criticità.

“Il PNRR ci dà un’occasione storica, dobbiamo sfruttarla senza ripetere gli errori del passato, – ha dichiarato l’ex Ministro della Salute,  il Prof. Renato Balduzzi, –  prima di tutto coinvolgendo i comuni, che sono fondamentali nella presa in carico multidimensionale di un cittadino, e  poi non abbandonando gli standard ospedalieri. Tutti siamo chiamati a dare il nostro contributo e ad aiutare i decisori politici a fare dei passaggi tecnici, diamo gambe e braccia a questa grande riforma che ha l’obiettivo di coniugare, dopo tanti tentativi falliti, il sanitario con il sociale.”

“Gli obiettivi di questo cambio di paradigma li condividiamo tutti – ha spiegato il prof. Cristiano Gori – in questo momento perciò credo sia fondamentale mettere a fuoco gli ostacoli da superare. Il primo bivio da superare è quello del rischio di fare solo una riforma formale: dobbiamo mettere in piedi una riforma sostanziale, con i contenuti giusti, per questo sarà importantissimo lo studio e la trasparenza di tutti i documenti. L’altro ostacolo è il tempo, perché è vero che la crisi ci sta offrendo un’opportunità ma è altrettanto vero che questa finestra si chiuderà più brevemente di quel che immaginiamo. Un ulteriore rischio è quello della frammentazione: dobbiamo essere capaci di un approccio integrato che tenga in considerazione tutti gli attori del territorio.”

“Ci sono ancora molti nodi da sciogliere, ad esempio la diversità territoriale: una casa della comunità in Calabria non sarà la stessa in Lombardia. – ha spiegato il prof. Francesco Longo – La diversità dei territori condizionerà anche il numero delle case visto che il reddito pro capite lombardo è quasi il triplo di quello dei calabresi. Poi c’è anche il fatto che questo processo è  topdown, cioè viene da un indirizzo dello Stato che vorrebbe animare una partecipazione addirittura territoriale. Ci sono altri dubbi da dirimere ma secondo me la soluzione è quella di iniziare senza paura e sperimentare, senza aspettare che arrivino le linee guida dall’alto.”

Nell’ultima parte del convegno si è aperta una tavola rotonda dove hanno portato i loro contributo i rappresentanti dell’associazionismo, dei servizi territoriali e del mondo sindacale.

“Durante la pandemia, di fronte a un evento così tragico, credo che tutti abbiano finalmente capito che l’approccio multidisciplinare è quello vincente – ha dichiarato Paolo Bordon, Direttore Generale Azienda Usl di Bologna – oggi il poliambulatorio può rappresentare lo step 1 della presa in carico e la casa della comunità lo step 2 da dove poi si capisce se è necessario attivare un percorso. Per la buona riuscita del progetto conterà l’apporto di tutti, la comunità infatti parteciperà con programmi di prevenzione, interazione con le società sportive e con il mondo della scuola, facendo attenzione alla diversità territoriale.”

“La salute pubblica è il terreno su cui si sono maggiormente concentrate le diseguaglianze – ha dichiarato Anna Lisa Mandorino, Segretario Generale di Cittadinanzattiva – Queste diseguaglianze sono molto gravi, perché in ballo c’è la vita stessa di una persona. La nuova casa della comunità sarà efficace se teniamo in considerazione il fatto che quando parliamo di comunità non ci riferiamo ad una parola magica ma facciamo riferimento a territori veri, a bisogni veri e magari anche a situazioni conflittuali già in atto che necessitano soluzioni ad hoc che non possono essere calate dall’alto.”

“Il 15% dei nostri concittadini non ha accesso ad un servizio socioassistenziale adeguato, attualmente il nostro sistema è disfunzionale e anche diseconomico visto che la gran parte della presa in carico dell’assistenza per i soggetti deboli è sulle spalle delle famiglie – così Roberto Speziale del Forum Terzo Settore. – Ecco perché oggi abbiamo bisogno di una  vera riforma non partendo da zero però, ma dalle esperienze positive di molti territori: la casa della comunità rappresenterebbe proprio il primo step in un modello di collaborazione tra tutti le organizzazioni territoriali che non lasci indietro nessuno.”

“La proposta di una casa della comunità è condivisibile ma voglio dire con chiarezza che dobbiamo chiedere al Governo, oltre alle risorse straordinarie – ha dichiarato Rossana Dettori della Cgil – anche quelle ordinarie, visto che in queste case della comunità ci saranno tanti contratti a tempo determinato per il momento.”

“La ricostruzione della rete dei servizi territoriali è un segno di democrazia perché va a recuperare i principi fondanti del SSN – ha dichiarato Ignazio Ganga della Cisl – Non può mancare perciò un forte investimento nel personale, che significa assunzione ma anche formazione, con un occhio alle nuove competenze digitali.”

“Dobbiamo rinnovare il SSN e questa è l’occasione giusta, perché partendo dal sistema sanitario sono sicuro che ripartirà anche il nostro paese – ha aggiunto Domenico Proietti della Uil – Per quanto riguarda la casa della comunità bisogna puntare su una maggiore integrazione di tutti i servizi socio assistenziali, puntando su prevenzione e presa in carico.”

In allegato il Manifesto da firmare

IL MANIFESTO – LA CASA DELLA COMUNITA’

Qui sotto il video integrale con tutti gli interventi

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