Il voto unanime all’emendamento del milleproroghe che fa slittare al 1° gennaio 2025 l’entrata in vigore del regime Iva per gli enti non commerciali è un fatto positivo, perché vuol dire che Parlamento e Governo hanno ascoltato l’appello del mondo del Terzo settore. Ora, dopo il voto delle Commissioni Bilancio e Affari Costituzionali della Camera all’emendamento, chiediamo un passo ulteriore: questi mesi siano usati per trovare una soluzione definita perché l’imposizione dell’Iva all’aiuto reciproco che regge gli enti del Terzo settore sarebbe un vero limite alla libertà di associazione. Contrariamente a quanto si possa talvolta pensare, la gran parte di queste realtà porta avanti la sua azione sociale nelle comunità grazie all’autofinanziamento dei propri soci e non per contributi pubblici o privati. Qualsiasi campo estivo o attività di circolo, oratorio, centro di quartiere, gruppo di acquisto solidale sta in piedi in base alla condivisione delle spese. Con un’imposizione dogmatica si rischia di equiparare ciò che è condivisione delle spese tra soci alla vendita di servizi. In questo modo di fatto si colpisce la libertà associativa, perché molte esperienze, già gravate da adempimenti burocratici cresciuti a dismisura negli ultimi anni, dovranno sottoporsi a notevoli appesantimenti, come il registratore di cassa. Adempimenti giudicati “pregiudizievoli” dallo stesso Viceministro dell’Economia e delle Finanze Maurizio Leo, durante la giornata dell’associazionismo organizzata dalle associazioni riunite nel Forum del Terzo settore a settembre. Ma non è solo la burocrazia il problema: la stessa esenzione Iva che subentra per molte, non tutte, le attività delle associazioni, oltre a comportare questi oneri “pregiudizievo-li”, rappresenta un colpo alla libertà di associazione, sancita non solo dalla Costituzione, ma dalla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea. Infatti, nel caso, dell’esenzione, a differenza dell’esclusione dall’Iva (che chiediamo per le attività con i soci delle associazioni di Terzo settore) è la maggioranza politica di turno che decide che cosa si può esentare e cosa no. Non vi è più il riconoscimento dell’autonomia delle associazioni, tanto cara ai costituenti e viene meno un diritto ad esistere, a prescindere dalle scelte politiche dello Stato. Il Terzo settore rimane così intrappolato dalla politica e dai governanti di turno, risultando sempre meno libero di decidere delle proprie attività, specie oggi in carenza di risorse certe per il proprio impegno a favore di un tessuto sociale sempre più frammentato e impoverito da tante difficoltà
Stefano Tassinari, Vicepresidente nazionale ACLI