Caderzone Terme, in val Rendena, è un piccolo paesino del Trentino che ha accettato di buon grado di ospitare una famiglia di rifugiati siriani che viveva da oltre due anni in un campo profughi libanese. Il loro arrivo, avvenuto il 28 aprile 2017, è stato possibile grazie all’intervento dell’Ipsia, l’Istituto pace e sviluppo delle Acli che si occupa di cooperazione internazionale, e che insieme alla Comunità di S. Egidio ha attivato dei corridoi umanitari per il soccorso dei rifugiati.
“I corridoi umanitari – spiega Fabio Pipinato presidente dell’Ipsia Trentino – non sono i barconi. La procedura di chi arriva in Italia in questo modo è diversa dai richiedenti asilo. Prima con volontari e poi con esperti internazionali andiamo nei campi profughi e valutiamo le situazioni più difficili, e poi una volta fatti tutti i passaggi burocratici, facciamo venire in Italia le persone con lo statuto di rifugiati”.
A Caderzone, anche per accordo con il sindaco, la scelta è stata quella di accogliere una famiglia. E così 7 persone – un padre, una madre e i 5 figli con un’età compresa tra 2 e 8 anni – sono arrivati in Trentino.
“L’accoglienza della popolazione è stata buona – continua Pipinato – ma la famiglia non è piombata in paese da un giorno all’altro. C’è stata una preparazione, abbiamo fatto degli incontri per spiegare chi erano e dove avrebbero vissuto queste persone. Come Acli abbiamo incontrato il questore, il sindaco e la giunta, i carabinieri, gli enti di valle, per informarli della situazione e sentire le loro proposte”.
L’abitazione l’ha messa a disposizione Bruno Masè, un socio delle Acli, che aveva una casa inutilizzata e sfitta da anni e l’ha offerta senza chiedere nulla in cambio. “Quando ho visto la casa – ricorda Pipinato – mi sono spaventato: era chiusa da anni, andava ristrutturata e messa a norma, i mobili erano inadatti a una famiglia. Pensavo che la spesa per i lavori sarebbe stata enorme e invece quando ho chiesto agli operai mi hanno risposto che non c’era nessun costo perché avrebbero lavorato gratuitamente per solidarietà. C’è chi l’ha messa a norma, chi l’ha dipinta e chi ha tolto i mobili e chi ne ha regalati di nuovi. C’è anche chi ha donato una bicicletta o un lettino per i bambini più piccoli”.
“Certo la prima settimana qualcuno ha borbottato, sono apparse anche delle scritte davanti alla casa, ma l’assessora alle Politiche sociali Flavia Frigotto si è messa di notte a cancellarle”.
Dopo due mesi la famiglia ha cominciato piano piano a integrarsi, a tessere relazioni con altre persone che nella provincia parlano arabo, ma anche con gli italiani. Il merito è stato sempre dell’assessore alle Politiche sociali che ha spinto per l’inserimento immediato a scuola dei bambini come metodo di integrazione. “In poco tempo i bambini hanno infatti fatto amicizia e imparato abbastanza bene l’italiano da tradurre ai genitori. La mamma ha conosciuto altre donne. E ora le bambine, grazie a un’autotassazione di alcune persone, frequentano anche il centro estivo”.
Uno dei punti di forza del progetto è il costo zero per l’ente pubblico: la famiglia siriana non gode di alcun beneficio previsto dall’accoglienza ordinaria. Non esistono contributi regionali, provinciali o comunali. Gli unici fondi a disposizione, 4.000 euro, li hanno messi le Acli prendendoli dai fondi del 5 x 1000 che i cittadini hanno donato all’associazione con la dichiarazione dei redditi. I soldi sono serviti a pagare un mediatore che conosce bene l’arabo e che può aiutare la famiglia ad affrontare la realtà italiana.
“Per chi arriva nel nostro Paese, molte cose sono nuove – spiega Pipinato – dall’uso della caldaia all’elettricità ai fornelli a gas fino al sistema sanitario e ai trasporti. Il compito del nostro operatore era proprio quello di aiutare la famiglia a orientarsi, li accompagnava alle Acli per l’Isee, all’ambulatorio per i vaccini e le cure mediche, traduceva le scritte dei supermercati”.
Per ora il proprietario della casa si è accollato le spese ma l’accordo è che la famiglia col tempo pagherà parte delle bollette e poi sarà sempre più autonoma in modo da evitare qualsiasi assistenzialismo. Il padre, muratore, già lavora nei cantieri edili e una piccola percentuale del primo stipendio andrà per le spese di luce e gas.
Insomma, tutto sembra funzionare. Perché, come ha scritto papa Francesco “L’incontro personale con i rifugiati dissipa paure e ideologie distorte e diventa fattore di crescita in umanità”. A Caderzone lo stanno sperimentando quotidianamente e forse lo potrà sperimentare anche un ospite d’eccezione che qui ha la seconda casa: Matteo Salvini.