A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita cristiana
Forse aveva ragione Oscar Wilde quando scrisse che “nella vita moderna niente è più efficace di un luogo comune: affratella il mondo intero.” Vale per molti temi, vale certamente per la questione, complessa, dell’immigrazione. Che, agli occhi di tanti italiani, appare tutta, o quasi tutta, sotto il segno dell’Islam. La verità è un’altra. Calcolando i numeri ufficiali, gli immigrati mussulmani presenti sul territorio italiano sono poco più del 3% della popolazione italiana. Eppure, secondo i dati mostrati dalla recente indagine Eurispes, la larga maggioranza dei nostri concittadini tende a sovrastimare la loro presenza: per il 27,6% rappresenterebbero l’8% del totale della popolazione, per il 23,6% il 16%, per il 17,5% addirittura il 24%. Ancora una volta, tra il percepito e il reale c’è una forbice che spiana la strada a chi sparge paura a buon mercato.
La maggioranza degli immigrati residenti in Italia è di fede cristiana
A guardare dentro i dati proposti dalla Fondazione Ismu che ha incrociato quelli provenienti dall’Istat, il panorama delle fedi di donne e uomini immigrati merita di essere conosciuto. Su 5 milioni 255 mila di immigrati regolari residenti in Italia la maggioranza sono cristiani: 2 milioni 742 mila, pari al 52,2 per cento degli stranieri, tra cui 1 milione 538 mila ortodossi, 931 mila cattolici e 232 mila protestanti. I musulmani sono invece 1 milione e 733 mila, pari al 33 per cento. Ed ancora: i fedeli induisti, buddisti e di altre credi orientali e di religioni tradizionali sono 531 mila, oltre a 249 mila atei ed agnostici, pari al 14,8 per cento. Sono dati che contraddicono l’opinione comune di un’invasione islamica. Che non c’è. Alla faccia di chi afferma il contrario.
La maggior parte dei cristiani sono ortodossi (i cittadini rumeni di fede ortodossa sono più di un milione e quelli ucraini 200.000) e un numero in continuo aumento sono pentecostali, provenienti soprattutto dall’Africa. Dunque, i cristiani non sono tutti cattolici. Che restano comunque un bel numero, provenienti da decine di Paesi di tutto il mondo.
La “strategia dell’attenzione” nelle nostre comunità cristiane
Per questo è necessario stimolare le nostre comunità ecclesiali perché siano capaci di attivare una “strategia dell’attenzione”nei loro riguardi. Tante parrocchie già la fanno, molte altre ancora no. Basta poco: un incontro, una parola, l’invito a recitare, durante l’eucarestia domenicale, il Padre Nostro nella lingua d’origine prima della recita in italiano dell’assemblea.
È in gioco la nostra umanità ed anche la nostra fede. A ben guardare, sono davvero la stessa cosa.