In una delle sue canzoni più belle, Giorgio Gaber raccontava il dialogo tra due figli milanesi; il ricco viveva da figlio unico in una casa con diciotto locali spaziosi e il povero in un locale unico… ma con diciotto fratelli. Beh, le cose sono cambiate e la povertà non è più così pittoresca come descritta dal Signor G. Però è rimasta. Sta lì: una presenza neanche tanto discreta, molto stabile.
Anzi, in aumento. I dati sono chiari: negli anni della crisi economica la povertà assoluta – cioè la mancanza di risorse economiche necessarie per conseguire una standard di vita definito dall’Istat “minimamente accettabile” – è cresciuta: si passa dal 3,1% del 2007 al 7,6% del 2015. E i dati Istat non descrivono una inversione di tendenza: neppure una… “ripresina”, verrebbe da dire.
Anzi, l’incidenza della povertà assoluta si stabilizza sui livelli stimati negli ultimi tre anni, se misurata per le famiglie, mentre è in crescita se misurata sul numero assoluto di persone. Lo stesso accade anche per la povertà relativa, stabile per le famiglie e in crescita per le persone. I dati sono preoccupanti anche per il nord Italia, tanto che possiamo ormai dire che la povertà è sempre più una questione nazionale.
Eppure l’Italia è l’unico Paese, assieme alla Grecia, che non dispone di una misura nazionale e universale contro l’indigenza. Non possiamo più permettercelo. Lo ripetiamo da anni, in particolare ad ogni 17 ottobre, quando si celebra la giornata internazionale contro la povertà.
Ma quest’anno lo ripetiamo con un piccolo moto di speranza. Superando lo storico disinteresse della politica italiana nei confronti dei poveri, la scorsa legge di bilancio ha destinato dei fondi a questo scopo, poi è entrato in vigore il Sia (il Sostegno per l’inclusione attiva) e infine la Camera dei deputati ha approvato una legge delega che autorizza il Governo a istituire il Reddito di inclusione. Si può finalmente affermare che siamo sulla buona strada.
L’Alleanza contro la povertà – che mette insieme oltre una trentina di associazioni diverse ma unite da anni nella stessa battaglia – ha qualche motivo di soddisfazione. Convegni, studi, incontri e confronti hanno prodotto una volontà politica che, ora, deve portare a termine questa partita. Ora è il momento giusto. Già solo tra qualche mese il dibattito politico potrebbe prevedere altri temi.
L’idea di un Reddito di inclusione prevede che sia una vera misura d’inclusione e non tanto una misura assistenziale: per questo si prevedono, oltre al beneficio economico, servizi erogati dall’infrastruttura del welfare locale, con il fine di realizzare percorsi di reinserimento sociale e lavorativo. In altre parole, accanto al contributo vi è una presa in carico della condizione della persona e della famiglia.
Proprio per questo occorrerà che il provvedimento disponga della stabilità di un Piano pluriennale. Perché per uscire dal circolo della povertà non basta qualche elargizione in qualche settimana. Serve un lavoro lungo e faticoso. Dopo gli anni delle sperimentazioni, dei successi e dei fallimenti, oggi conosciamo i pro e i contro di queste misure: si tratta solo di decidere tenendo conto dell’esperienza. E di metterci dei soldi: non tutto è una questione di risorse, ma senza di quelle non ne parliamo neanche.
Intanto la Camera ha fatto la sua parte. Ora tocca al Senato: il bicameralismo – che tanto ci fa discutere in queste settimane – prevede espressamente questo. Cari Senatori, ora c’è una vera e reale possibilità.
La causa è giusta. Il momento è quello giusto. Non perdiamolo.