Domenica 8 marzo, prima del grande allarme. Raccomandano prudenza, ma non c’è ancora il tutti a casa.
Andiamo al parco di Trenno: centinaia di persone corrono, giocano a palla, a carte, seduti in cerchio per terra…roba da domeniche d’estate degli anni sessanta.
È come le partenze per le vacanze di quegli anni, migliaia in coda sull’”Autosole”, le famose “partenze intelligenti”, tutti al casello alle quattro del mattino, perché a quell’ora non c’è nessuno…
Poi l’allarme generale, il confinamento, la paura. Si palesano i virologi, intervistati 24 ore al giorno su tutti i canali.
Comincia il balletto: “è una influenza; è grave; siamo pronti; sarà lunga...“. Cosi vai a letto tardi e talvolta ti attacchi al “siamo forti” e tal’altra hai paura perché il contagio e i morti aumentano. Poi ti dici sono in casa, il virus non attraversa i muri.
Si abbatte sul cellulare la tempesta. Dall’associazione, le ACLI, si attivano decine di collegamenti con Skype o Zoom. Dalla rete saluti, segnalazioni, e un torrente di facezie, filmati divertenti, gente che canta dai balconi e sventola bandiere…
“… questo silenzio, così duro da raccontare ...”
Arrivano le immagini di quelli che erano numeri asettici comunicati ogni sera: camion militari pieni di bare, ospedali, pazienti cui si nasconde pietosamente il volto, storie di dottori e di infermiere stravolti e spersonalizzati nei dispositivi di sicurezza.
È il momento del dolore, dei sonni agitati, del grande silenzio. Crollano verticalmente sui telefoni le storie consolatrici. Sembra che a cantare “La storia siamo noi” siano i maledetti Covid-19…
Dal balcone controlli le strade deserte, il silenzio, impressionante di notte, mentre guardi le torri illuminate di City Life e senti lacerante il suono delle sirene delle ambulanze.
Aumenta il senso di solitudine. In parrocchia lanciano l’idea di raccogliere immagini dalla finestra, e cominci a fotografare persone con maschera e cane, tantissimi. Una signora, sembra impossibile, porta al guinzaglio un gatto, che va furtivo, rasente il muro.
In una sessione di “auto scrittura” organizzata dalla Formazione ACLI propongono l’input (cosa c’è oltre la siepe?) per spingere al racconto dei sentimenti prevalenti, così mi sperimento in una composizione: “Vola oltre la siepe/batte le ali lentamente/non ha colori/non ha note/compare sempre all’imbrunire/ecco l’angoscia/non cerca fiori su cui posarsi/né punti in cui accendere la luce/eccola, oltre la siepe/in una sera che sembra infinita”.
Poi lancio l’idea, ci conosciamo nel palazzo, è una cooperativa ACLI: facciamo un gruppo WhatsApp. È la nostra risposta efficace: il 25 aprile nel cortile si canta “Bella ciao”, con molta commozione, mentre un bambino, entusiasta, sventola dal balcone un tricolore, composto da tre magliette!
Due coinquilini, giovani sposi in crisi con il lavoro, fanno il pane in casa e lo presentano con delle foto al gruppo WA. Sembra bello, tre pagnotte dorate: due euro ciascuna.
Lo ordiniamo anche noi. Il giorno dopo arrivano per la consegna, tutti e due, sorridenti sotto la mascherina, con il sacchetto del pane, un biglietto scritto a mano con ingredienti e peso, ed una rosa del loro balcone. Abbiamo gli occhi lucidi. Rientriamo, è ancora caldo, si sente il profumo: finalmente si torna a spezzare il pane.
“L’avvenire è ormai quasi passato”.
Così per me, avanti negli anni. Ma siamo alla fase due, un pò di gente gira, un pò di auto viaggiano. Stiamo prudenti, ma sono belli i rumori delle auto e le grida dei bambini. E poi c’è la famiglia, il circolo e tanti amici. C’è ancora tanto da fare.