A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale per la Vita Cristiana
Nell’icona preparata per la beatificazione è finito anche lui, Mohammed Bouchickhi, il giovane mussulmano, fedele autista di mons.Pierre Claverie, morto come il vescovo il primo agosto del 1996. Vittime entrambi dell’ordigno – azionato a distanza dal Gruppo islamico armato – esploso all’ingresso del vescovado.
In quegli anni la terra d’Algeria venne bagnata dal sangue di più di 150 mila morti, caduti a causa dello scontro fratricida fra integralisti islamici e militari. Obiettivi privilegiati erano soprattutto mussulmani che cercavano di costruire ponti, aprire varchi di dialogo, opporsi al settarismo fondamentalista. Iman e persone semplici, mussulmani convinti che, al di là delle differenze, Allah Mahabba, Dio è amore, come era scritto sulla stola che Pierre Claverie amava indossare.
I loro nomi
Nei giorni scorsi proprio nella cattedrale di Orano sono stati beatificati i 19 martiri cristiani caduti tra il 1994 e il 1996. È stata la prima volta che una beatificazione si è svolta in un paese totalmente mussulmano. Vale la pena ricordare i loro nomi. Insieme al vescovo Pierre Claverie, l’elenco comprende il frate Marista Henri Vergès e suor Paul-Hélène Saint-Raymond delle Piccole Sorelle dell’Assunzione (uccisi l’8 maggio 1994), le Agostiniane Missionarie suor Esther Paniagua Alonso e suor Caridad Alvarez Martin (23 ottobre 1994), i Padri Bianchi Jean Chevillard, Charles Deckers, Christian Chessel e Alain Dieulangard (27 dicembre 1994), le suore di Nostra Signora degli Apostoli suor Angèle-Marie Littlejohn e suor Bibiane Leclercq (3 settembre 1995), la Piccola Sorella del Sacro Cuore suor Odette Prévost (10 novembre 1995) e infine i sette monaci trappisti di Tibhirine dom Christian de Chergé, fratel Luc Dochier, padre Christophe Lebreton, fratel Michel Fleury, padre Bruno Lemarchand, padre Célestin Ringeard e fratel Paul Favre-Miville rapiti nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996 e fatti ritrovare cadaveri due mesi dopo. Nel comunicato diffuso dai vescovi algerini nei giorni della beatificazione è scritto che “ci sono donati come intercessori e come modelli di vita cristiana, di amicizia e di fraternità, d’incontro e di dialogo. Che il loro esempio ci aiuti nella vita di ogni giorno. Dall’Algeria la loro beatificazione sia per la Chiesa e per il mondo una spinta e un appello a costruire insieme un mondo di pace e di fraternità”.
Hanno amato il paese dove sono stati uccisi, eterni mendicanti d’amore
A leggere i testi di molti dei diciannove martiri, il tratto comune che li accomuna è l’affetto e il grande amore per il Paese nel quale si trovavano e l’impegno costante a vivere la propria vocazione coltivando l’amicizia con ogni persona. Nel foglio di presentazione della comunità di Tibhirine i monaci avevano scritto:
Ospiti del popolo algerino, musulmano nella quasi totalità, questi fratelli vorrebbero contribuire a testimoniare che la pace tra i popoli è un dono di Dio fatto agli uomini di ogni luogo e di ogni tempo e che spetta ai credenti, qui e ora, rendere manifesto questo dono inalienabile, in particolar modo attraverso la qualità del loro rispetto reciproco e il sostegno esigente di una sana e feconda emulazione spirituale. Accanto agli oranti dell’islam, essi fanno professione di celebrare, giorno e notte, questa comunione in divenire e di non stancarsi di accoglierne i segni, come eterni mendicanti d’amore, per tutta la loro vita, se così piace a Dio, nel recinto di questo monastero dedicato a Maria, madre di Gesù, sotto l’appellativo di Notre-Dame-de-l’Atlas.
Un’amicizia che nel tempo abbatte i muri, crea fiducia, apre porte inattese. Come quella sera, dopo compieta. Frère Christian torna in cappella e si mette a pregare, in ginocchio, tra l’altare e il tabernacolo. Ed ecco che a un certo momento sente una presenza accanto a sé e un mormorio che sale: “Allâh! Âkbar! (il Grande!)”.Tra un’invocazione e l’altra l’uomo sospira; dopo un po’ di tempo si rivolge a fr. Christian e chiede: “Preghi per me”. Questi comincia a balbettare in francese una preghiera composta all’istante: “Signore unico e onnipotente, Signore che ci vedi, tu che unisci tutto sotto il tuo sguardo, Signore di tenerezza e di misericordia … insegnaci a pregare insieme”. Anche l’ospite prega, il francese e l’arabo si mescolano. Poi giunge un altro e si unisce alla preghiera. “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro!”. Sono trascorse tre ore; poi si lasciano in silenzio nella notte. Il terzo arrivato, anche lui un ospite musulmano, il giorno successivo commenta: “Tutto è semplice quando è Dio che guida”.
“È Gesù che sta soffrendo”
“Tutte le religioni sono costantemente esposte a diventare strumenti di oppressione e di alienazione. Noi possiamo lottare contro questo snaturamento della fede, della nostra come di quella altrui”. Sono parole di mons.Claverie, testimone lucido di dialogo e di riconciliazione. Quando cominciano gli attentati, a chi gli chiede: “Perché rimanete”?, risponde così: “Noi siamo qui a causa di questo Messia crocefisso. A causa di niente e di nessun altro! Non abbiamo nessun interesse da salvare, nessuna influenza da mantenere. Non abbiamo nessun potere, ma siamo qui come al capezzale di un amico, di un fratello malato, in silenzio, stringendogli la mano, asciugandogli la fronte. A causa di Gesù perché è lui che sta soffrendo qui, in questa violenza che non risparmia nessuno, crocifisso di nuovo nella carne di migliaia di innocenti”. “Anche se volessimo partire, non potremmo più farlo. Il nostro sangue si è mescolato”, così Pierre Claverie dirà qualche mese prima della sua morte in un’intervista rilasciata ad Avvenire. Jean-Jacques Perennès, il domenicano biografo del vescovo, ha più volte raccontato la scena che si è presentata ai soccorritori sul luogo dello spaventoso attentato: “Pierre e Mohammed giacciono al suolo in un atrio devastato e il loro sangue si mescola”. Un testimone di Cristo e del Vangelo e un mussulmano legati da una fraternità, da un’amicizia, da una condivisione di vita. Più grande della morte. Più grande delle differenze.