Parlare, oggi, di lavoro popolare che senso può avere? Che significa, in tempo di crisi, partecipare alla vita dell’azienda o dell’organizzazione in cui si lavora?
Questi alcuni degli interrogati a cui ha cercato di rispondere il gazebo “Il lavoro popolare: come sostenere e promuovere il lavoro partecipato” nell’ambito dell’Incontro nazionale di studi.
Il tempo dedicato ai lavori di questo gazebo è stato di circa due ore e 30 minuti e ha visto la partecipazione di circa 50 persone prevenienti da diverse realtà territoriali delle Acli: da Varese a Catania, da Firenze a Torino, da Bergamo a Verona, da Milano a Terni, da Ancona a Lamezia Terme. Solo per citare alcuni dei luoghi dei partecipanti intervenuti ai lavori di questo gruppo.
Santino Scirè, delegato della presidenza nazionale al lavoro e alla progettazione, introducendo questo gazebo ha spiegato l’obiettivo generale: quello di interrogarsi su alcune dinamiche e processi che attraversano il mondo del lavoro per cogliere elementi di novità, ma anche di popolarità, che mettono insieme i lavoratori e li fanno collaborare rendendoli protagonisti attivi della vita della loro impresa.
Poi ha preso la parola Maurizio Sorcioni – Responsabile dello Staff di Statistica, Studi e Ricerche di Italia Lavoro – che ha raccontato il senso dell’esperienza di integrazione tra politiche del lavoro e politiche di sviluppo e contrasto al declino industriale rappresentata dai programmi di workers buyout, che vedono l’acquisizione di un’azienda fallita da parte dei suoi dipendenti. Un approccio, nato e sviluppatosi negli Stati Uniti, ma che negli ultimi anni sta via via acquisendo terreno anche in Europa e in Italia sfruttando la grande tradizione cooperativa nel nostro paese. Attualmente si contano più di sessanta esperienze di questo tipo, soprattutto in Emilia Romagna e Toscana dove il tessuto produttivo in forma cooperativa è molto forte. Sono state presentate – grazie alla visione di alcuni video – anche tre esperienze di workers buyout: GESLABdi Scandiano presso Reggio Emilia; la Fenix Pharmadi Roma; il Centro Olimpodi Palermo.
Successivamente Corrado Maffioletti, delle Acli di Bergamo, ha raccontato l’esperienza di coworking solidale promossa grazie anche al coinvolgimento diversi soggetti del territorio (Cisl, Cgil, Patronato San Vincenzo, cooperativa Aeper e Imprese & Territorio, ecc…). Un’esperienza che ha creato un network grazie all’attivazione di otto spazi di coworking che si occupano di ecologia, cultura e turismo. Si è costruito un percorso che ha coinvolto 50 persone, per lo più giovani: li ha messi in formazione e poi li ha resi protagonisti della costruzione un percorso lavorativo capace di mettere insieme solidarietà, coesione sociale e territorio.
Al termine dei due interventi programmati è iniziato il dibattito. Il clima complessivo è stato attento e costruttivo. E’ emersa, da molti interventi, la voglia di riflettere in modo rinnovato sul tema del lavoro, senza nascondersi dietro alle criticità e alla complessità del contesto lavorativo italiano. Si è sottolineata la recente afasia che le Acli hanno fatto registrare sul tema del lavoro invitando la dirigenza nazionale a tornare ad elaborare un pensiero e un’azione sociale e politica, in ambito lavorativo, che parte dalla situazioni di maggiore fragilità: quelle dei giovani, delle donne, chi ha perso il lavoro.
L’aspettativa sul tema del lavoro è quindi molto alta. E le Acli stesse vogliono alzare l’asticella e rimettersi in pista. Vogliono tonare ad essere popolari anche nei luoghi di lavoro. Vogliono stare accanto alle fragilità delle persone dando risposte concrete anche attraverso i loro servizi. Vogliono stimolare i giovani, le donne e i lavoratori a rendersi responsabili e protagonisti del loro destino. Del resto le storie dei workers byout testimoniano in modo inequivocabile come un percorso del genere non solo sia possibile ma anche realizzabile.