Sono 182 i Paesi che nella Conferenza intergovernativa di Marrakech il 10 dicembre 2018 hanno firmato il “Global Compact sulle migrazioni” (per esteso: “Global Compact for Safe, Orderly and Regulated Migration”), vale a dire il documento programmatico globale per una migrazione sicura, ordinata e regolata e l’Italia non è fra questi.
Nella giornata che celebra la dichiarazione dei diritti umani del 1948, il Governo sceglie di stare dalla parte di chi ritiene che chi sceglie o è costretto a migrare non abbia il diritto alla libertà e alla sicurezza della sua persona. Lo fa insieme ad altri 10 paesi, in gran parte dell’Europa dell’Est, aprendo di fatto una spaccatura all’interno della tanto invocata politica estera comune europea.
Il Global Compact in questione nasce nel 2016 e ha la stessa struttura programmatica e non vincolante di altri “global compact”, ad esempio sul clima.
È uno strumento intergovernativo di “soft law” (legge morbida, appunto non vincolante) promosso dalle Nazioni Unite per regolare fenomeni complessi, che vanno al di là delle competenze e delle giurisdizioni dei singoli Stati. Adottare un global compact dovrebbe, nelle intenzioni, consentire di avere principi e linee guida comuni e coordinare gli sforzi.
L’accordo prevede che gli Stati firmatari:
* cooperino per facilitare rimpatri e riammissioni sicuri e dignitosi e un reinserimento sostenibile.
* si impegnino a combattere insieme gli scafisti e il fenomeno della tratta internazionale dei migranti.
* raccolgano dati sulle rotte e sui flussi, per fornire ai migranti informazioni lungo tutto il percorso migratorio. Blocchi e pericoli compresi.
Da un punto di vista geopolitico è evidente la contraddizione di un Paese, come il nostro, che pur trovandosi nel mezzo del Mediterraneo è disinteressato dal cercare soluzioni ai problemi che la geografia, prima ancora che la demografia, gli presenta.
Da naturale zona di interscambio, sia culturale che merceologica, l’Italia ne esce sicuramente ridimensionata e si chiama fuori dalla possibilità futura di avere voce in capitolo sul tema.
La mancata firma italiana sembra piuttosto essere stata “svenduta” ai nostri presunti alleati austriaci e del Gruppo di Visegrád, cui una parte del Governo ha promesso collaborazione, ma che difficilmente possono sposare le richieste italiane alla UE in altri settori (basti pensare, da ultimo, al richiamo dell’Austria e dell’Ungheria al rispetto delle norme europee sui conti pubblici).
Venendo ad un fronte interno, direttamente relativo alla salvaguardia della democrazia nel nostro Paese, spaventa la quantità di notizie false e volutamente tendenziose che ha inquinato il dibattito pubblico anche su questo tema.
Abbiamo tutto l’interesse, invece, a discutere con gli altri Paesi di come regolare le migrazioni. Non è l’orientamento di chi, ad oggi, è chiamato a tutelare l’interesse nazionale.
Come hanno giustamente sottolineato alcuni “in un eccesso di zelo l’Italia non si è recata neanche a discutere di migrazioni con gli altri Paesi”.
C’è, tuttavia, ancora il tempo per provare a influenzare il voto parlamentare (previsto il 21 dicembre) e aderire all’accordo in seconda battuta. Certo, alle condizioni decise dagli altri.