Ogni città, ogni stato, ogni civiltà ha bisogno di un fatto, di una narrazione assunta come mito fondativo. Il mito fondativo trasmette una visione del mondo, dei valori che servono da insegnamento agli uomini attuali e alle generazioni future. Il 25 aprile è il mito fondativo della repubblica italiana, è la guerra (vinta) di liberazione dall’invasore tedesco e dalle forze nazi-fasciste. Questa è la storia. Non aggiungiamo nulla, perché i fatti sono fatti.
Gustavo Zagrebelski ha scritto qualche anno fa che il mito fondativo non va cristallizzato, perché quando si riduce a folklore, allora muore: il mito richiede sempre dialettica. Oggi potremmo anche dirla così: un mito resiste a tre condizioni, la prima è che sia condiviso dalla più parte dei cittadini, la seconda è che una parte dei cittadini lo possa criticare. Grazie a questa dialettica il mito mantiene la sua forza e il suo vigore: in una parola, mantiene la sua attualità. D’altra parte Eraclito sosteneva che il conflitto fosse padre di tutte le cose: e non lo diceva tanto per amore della guerra… Proprio oggi, proprio nella nostra Italia, dobbiamo prendere atto che in una città viva, in una società complessa dove sono presenti più culture, non possa esserci la perfetta e indiscutibile acquiescenza verso ogni valore. In un Paese come il nostro l’esercizio della critica consente di ravvivare la memoria, anche grazie al mito fondativo, che ripropone con forza quei principi fondativi.
Quei principi fondativi, per la nostra repubblica, continuano ad incarnarsi nella Costituzione. La Costituzione è la figlia di quella stagione: finché ci sarà lei, il 25 aprile troverà una sua traduzione scritta e ordinativa. Non è poco. Perché è questa la terza condizione affinché il mito resista: che l’istituzione politica perseveri nel dare solennità alla memoria, alla storia. L’istituzione che non lo fa tradisce la storia dalla quale è nata. La repubblica italiana ha questa storia, non la si può cambiare attraverso una riscrittura e non la si può usare per cambiare gli assetti attuali. La storia è la storia.
Ogni anno, da qualche tempo a questa parte, si festeggia il 25 aprile secondo uno schema dove alle celebrazioni fa fronte una qualche critica sulle celebrazioni, due in particolare. Una prima è si ispira all’indifferentismo, come se il 25 aprile non ricordasse alcunché di particolare. Una seconda, invece, è un esplicito richiamo al fascismo, ai suoi valori o valori affini. Tocca proprio alle istituzioni essere fermi e ricordare che bisogna dire No ad ogni etica, ad ogni condotta, ad ogni richiamo esplicito a quella triste ideologia. Perché in questo caso non è una questione di sana dialettica, ma di difesa della repubblica e delle sue ragioni.