Domenica 8 Aprile 2018 – Anno B
Parola del giorno: At 4,32-35; Sal 117; 1 Gv 5,1-6; Gv 20,19-31
DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI (Gv 20, 19-31)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
COMMENTO AL VANGELO: \”Il Cenacolo, il Soffio e la Parola\”
a cura di padre Davide Carbonaro, accompagnatore spirituale ACLI Roma
La Parola di Dio di questa seconda Domenica di Pasqua ci offre il riferimento chiaro ad un “luogo” irrinunciabile per i discepoli del Signore. Il suo continuo riferimento in questi giorni pasquali permette di incontrare e contemplare il crocifisso risorto, colui che ha vinto e ci ha fatti passare dalla morte alla vita. Gli Atti ed il Vangelo mettono in stretta relazione il Cenacolo con eventi che in esso sono accaduti, e che continuano ad accadere oggi. Il Cenacolo! Luogo di annunzio della buona notizia e testimonianza della resurrezione del Signore. Anche noi con il cuore pieno di gratitudine dopo aver attraversato i giorni della grande tribolazione ed essere saliti con il nostro maestro a Gerusalemme, entriamo silenziosi dentro il Cenacolo. La forza revocatrice di questo luogo consegna ai discepoli di ieri e di oggi i gesti più belli ed intimi che il Signore ha compiuto con i suoi e continua a realizzare con noi e tra di noi. Varchiamo la soglia di questo luogo che non ha mura, se non le pareti di carne, di coloro che convocati dal risorto vivono in mezzo alle moltitudini con un cuor solo ed una anima sola. Qui Gesù ha espropriato la sua vita per amore, ed il suo corpo come dono. Li ha resi non vendibili e non comprabili. Fuori dalle logiche commerciali che sfigurano la nostra relazione con Dio e tra noi. Il suo amore non ha prezzo, i suoi gesti solidali sono liberi dai compromessi con il potere e con il male. Nessuno era bisognoso, ricorda Luca negli Atti, perché ogni cosa frutto della solidarietà, era messa ai piedi degli apostoli. Un quadro spesso idealizzato, ma vero, se pensiamo che quella sera prima di morire, nel Cenacolo, Gesù ha messo per primo se stesso ai piedi degli apostoli. Usciamo dai nostri cenacoli domenicali con questa consapevolezza: che ciò che abbiamo non lo possediamo appieno; che ci è dato in prestito dall’amore, e che l’amore si moltiplica per divisione. La sera di quel giorno “il primo della settimana” Gesù entra nel Cenacolo con la forza del suo Spirito. Era stata l’ultima sua “parola” sulla croce ed ora quello stesso soffio, il soffio del crocifisso risorto, è accompagnato da una parola familiare ed amica: “Pace” “Shalom”; e da un gesto: le mani ed il costato ferite e mostrate. Ostensione dell’amore e non della vendetta; del perdono e non della punizione. Così il risorto non passa solo le mura del cenacolo, ma la cortina del cuore chiuso dei discepoli segnati dalla paura, dal rimorso, dalla colpa. Solo il “vedere” afferma Giovanni, suscita la gioia di questi uomini prostrati dalla tristezza. Gesù non nasconde il dolore fisico subito per amore, lo mostra come il trofeo vinto nell’agone della sua vita, nella quale passò sanando tutti coloro che erano sotto il potere del divisore. Così quelle mani ferite e quel cuore aperto diventano il “luogo” discreto e tangibile dove perdonare e ricevere perdono. Ancora una volta sono le ultime parole pronunziate sulla croce: “Padre perdona”; le prime scaturite dal suo corpo ferito e glorioso: “perdonate e sarete perdonati”. La gioia di quella presenza inaspettata, è segnata da una assenza quella di Tommaso “uno dei dodici”, uno di quelli che aveva manifestato il desiderio “di morire con lui”. Presenza ed assenza sono la cifra della nuova relazione che il risorto instaura con i suoi a partire da quel primo giorno della settimana che andrà ripetendosi ogni ottavo giorno. Nonostante il cuore impaurito dei discepoli e l’assenza di Tommaso: “Gesù stette in mezzo a loro”. La fede nel risorto scaturisce non da un lontano ricordo del passato, né dalla rappresentazione di un evento, ma dallo starci, dal rimanere. Il nostro Dio che si è rivelato in Gesù è un Dio che ci sta, che fa suo il nostro dolore, la nostra gioia, la nostra stessa morte. Tommaso detto Didimo, che vuol dire gemello, ci assomiglia, porta le nostre assenze e lontananze. In fondo, il dubbio di Tommaso è la distanza generata dal tradimento; è forse questo che rimprovera a se stesso e al gruppo dei suo fratelli. Dove eravamo, lo abbiamo abbandonato e ora? Ma Gesù ritorna otto giorni dopo ed attraversa quelle porte chiuse, si fa carico del ritardo del cuore ed interpreta le paure di Tommaso. Dobbiamo dire grazie all’apostolo del dubbio, perché ha costretto il Signore a tornare ancora una volta “otto giorni dopo”. Dolce presenza disarmante e discreta del Risorto. Solo dopo questo incontro, anche noi possiamo dire: “Mio Signore e mio Dio”, perché ci appartiene, perché “è ossa delle nostre ossa e carne della nostra carne”. Come il battito del cuore, come il respiro della vita, come l’amata del Cantico: “Il mio amato è per me e io sono per Lui”.