A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale per la Vita Cristiana
Ci sono coloro (pochi ma si fanno sentire) che aderiscono convintamente al nuovo corso perché garantirebbe la difesa di quei valori “non negoziabili” che il tempo presente svilisce e deforma anche con il complice silenzio dei “cattocomunisti”; poi ci sono quelli (e sono i più) che stanno guardinghi, attenti a non esporsi troppo perché sanno che i parrocchiani che frequentano le loro eucarestie per la maggior parte hanno votato Salvini & co; infine quanti (pochi anche questi per la verità) ritengono blasfemo l’uso dei segni cristiani a sostegno di scelte e politiche che nulla c’entrano con il Vangelo e temono che la fede finisca per divenire uno strumento ideologico nelle mani dei sovranisti.
La maggioranza dei credenti (e dei preti) pro Salvini
Il piccolo sondaggio si riferisce ai molti preti che ho incontrato in questi mesi e con i quali mi è capitato di parlare dell’attuale situazione politica. Un disorientamento – quello dei preti – accentuato anche dalla polarizzazione delle posizioni all’interno delle nostre comunità cristiane. Che vedono in netta maggioranza quanti si schierano con le posizioni intransigenti (sia che si parli di migranti o di rom, di legittima difesa o di Europa), i toni aggressivi e gli obiettivi degli attacchi del “Capitano” in felpa e ruspa.
Certo, lo sappiamo bene: le nostre comunità non sono solo questo. Ma sono anche questo. E in queste comunità che parole di Vangelo risuonano? I cristiani e le chiese che le annunciano, con quale coerenza le vivono? Ed ancora: che relazione esiste tra la Chiesa dei Vescovi e delle associazioni e quella incontrata domenicalmente? Domande non retoriche che esigono risposte che non dimentichino che, prima ancora di essere lobby o tutori della pubblica moralità, i cristiani e le chiese sono e saranno giudicati dalla fedeltà ad una Parola che con misericordia ma anche con discernimento ha la pretesa di giudicare il mondo. Il cui silenzio non può essere barattato. Nemmeno per scuole o per denaro. Tanto meno per privilegi o per crocefissi di legno esposti in luoghi pubblici.
Non basta una velleitaria buona volontà. Servono competenza e laicità
Per stare da credenti nella città di tutti, per custodire il Vangelo che ha sempre e solo il volto e il profilo dell’umano, serve metodo e qui è il punto dolente. Per molte ragioni, le comunità cristiane in questi decenni si sono defilate e non hanno educato i credenti ad un metodo politico adeguato. Questo ha reso i cattolici del nostro Paese incapaci di andare oltre gli appelli generici. Ridotti ad essere, quasi sempre, sacerdoti superficiali del generico buon senso che, molto spesso, poco ha a che fare con il Vangelo.
Lo sappiamo: il cristiano può e deve fare politica – sapere e prassi che ha leggi e valori specifici che non possono venire posti a lato – solo se pratica buone mediazioni, che siano incarnazione dei principi o dei valori attraverso l’azione. In caso contrario si condanna o al tradimento dei valori oppure all’inefficacia politica. La costruzione della mediazione è il modo politico di mettere in pratica la necessaria coerenza con i valori cristiani. Non bastano gli slogan né bastano le buone intenzioni. Come non basta limitarsi a proclamare valori e istituzioni come se magicamente si potessero affermare. Occorre, piuttosto, sostanziarli, sotto il segno della competenza e della laicità.
Con un’avvertenza che richiamava Kaj Munk, il drammaturgo e pastore protestante danese ucciso dalla Gestapo nel 1944. “Ricordatevi: i simboli della Chiesa cristiana sono sempre stati il leone, l’agnello, la colomba e il pesce, ma mai il camaleonte! E ricordate anche questo: la Chiesa è il popolo che Dio si è scelto ma coloro che sono scelti saranno riconosciuti in base alle loro scelte”.