A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita Cristiana
Ci sono giornalisti i cui articoli vanno letti “a prescindere”. Sempre e comunque. Per la qualità dei contenuti, la forza dei ragionamenti, la bellezza della scrittura.
Un viaggiatore particolare: Paolo Rumiz
Paolo Rumiz è uno di questi: giornalista di razza, colto e appassionato, già conosciuto al grande pubblico per gli splendidi reportages dall’Afghanistan, per i suoi servizi dalle tormentate terre balcaniche, per uno sguardo, insieme obiettivo e coinvolto, con il quale, ogni volta, restituisce volti e storie dentro terre e popoli sentiti troppo alla svelta come “altri” e lontani. In realtà, Rumiz è conosciuto anche per i suoi viaggi che racconta, solitamente ad agosto, sulle pagine di Repubblica. Che siano i quasi 2000 km fatti in bicicletta da Istanbul a Trieste o i 7480 km della Transiberiana che corre dagli Urali a Vladivostok; il viaggio in barca a vela sulle rotte della Serenissima, da Venezia a Lepanto o il percorso di 611 km, a piedi, che porta da Roma a Brindisi sul tracciato, oramai quasi scomparso, dell’antica Via Appia; ogni volta – quello di Rumiz – è un viaggio dell’anima, capace di riportare in superficie un senso delle cose e della storia che pare, a prima vista, smarrito. Il segreto del giornalista triestino sta nel non voler correre dietro ai lettori o alla moda del momento ma nell’inseguire, testardamente, una ricerca personale. Quando lo si legge, si comprende che racconta solo ciò che ha visto e provato. E il suo racconto – anche quando pare essere la voce solitaria di un testimone che grida nel deserto – ha sempre a che fare con l’umanità. Anche quando è nascosta alla vista dei più.
I monasteri europei, presìdi di valori dimenticati
Per questo ero, come tanti, curioso di sapere la meta del viaggio di quest’anno. Conoscendo Paolo non sono stato sorpreso dalla scelta: un viaggio laico attraverso i monasteri europei. Prima che comparissero gli articoli (disponibili per la lettura sul sito di Repubblica) l’aveva anticipato in un magnifico articolo pubblicato a luglio “sull’Europa che dobbiamo raccontare”:
“Ho appena concluso un viaggio nei monasteri del Continente, e vi ho ritrovato tanti valori perduti, massacrati dalla modernità consumistica, valori che lì ritrovavano il loro ultimo, disperato rifugio. Cose inestimabili come convivialità, accoglienza, preghiera, canto corale, manualità, attaccamento ai luoghi, ritualità, lettura, cortesia, leadership attraverso l’ascolto. Persino la democrazia. E il silenzio, il grande guardiano di bocche sempre pronte a lanciare parole ostili. Ho trovato grandiosi presìdi dello spirito circondati dal frastuono del nulla. Minacciati non da orde islamiche, ma dalla nostra corsa alla liquidazione di una civiltà”.
Dodici tappe iniziate all’abbazia di Praglia, il monastero benedettino situato nella campagna padovana e poi proseguite in Baviera, a Sankt Ottolien, a poco più di mezz’ora di strada da Monaco. Di nuovo per tre tappe in Italia a Viboldone, l’abbazia alla periferia di Milano, guidata da molti anni dalla badessa Maria Ignazia Angelini, poi a Muri Gries, nel pieno centro storico di Bolzano e infine a Marienberg, a Malles, in Alta Val Venosta. Poi in Svizzera, a San Gallo, per molti secoli una delle principali abbazie benedettine
d’Europa; in Francia, a Citeaux, là dove nasce, nel dodicesimo secolo, la riforma cistercense e a Saint Wandrille, in Normandia, a poche decine di chilometri dalla splendida Rouen. Nella Ardenne, nel Belgio Vallone, nel monastero conosciuto più per la birra e le sue rovine medievali che per la millenaria storia di fedeltà al Vangelo; di nuovo in Baviera, ad Altotting, il “cuore cattolico” della Germania che accoglie più di un milione di pellegrini ogni anno attorno alla statua della “Madonna nera” (perché annerita dal tempo e dal fumo delle candele) venerata nel piccolo santuario della Gnadenkapelle che si trova in mezzo alla Kapellplatz e poi in Ungheria, dove lo scoglio millenario di Pannonhalma emerge dalle vigne mostrando uno dei più grandi monasteri del mondo. Il viaggio di Rumiz termina a Norcia, ancora sotto i segni della devastazione dei terremoti del 2016, la città dove è nato il fondatore e il padre del monachesimo occidentale: Benedetto.
Così termina il reportage:
“Il viaggio è finito. Per un mese ho girovagato non solo per monasteri ma attraverso i valori fondanti dell’Europa. Laboriosità, silenzio, invenzione, accoglienza, canto e, perché no, democrazia nel rapporto fra genti. Valori innegabilmente cristiani e innegabilmente opposti a quelli dei farisei che agitano il Vangelo nei comizi. Nei santi perimetri delle tue abbazie, Benedetto, ho trovato sempre un approdo sicuro, una difesa dal vociare demoniaco, dal disorientamento delle coscienze e dall’egoismo materialista che ci circonda. Non so cosa resterà di tutto questo. Forse un mondo millenario sarà travolto dal Globale con la complicità dei professionisti della paura. Sono preoccupato per l’Europa. Ma so anche che abbiamo il dovere della speranza. E che tra le montagne di Benedetto si nascondono la formula e il mistero della rinascita”.