A cura di Daniele Rocchetti, delegato nazionale alla Vita Cristiana
Disciplina dell’arcano. Così la chiamavano i primi cristiani. Una sorta di pudore nel pronunciare il nome di Dio in un tempo in cui gli dèi abbondavano: era affollato il grande mercato dei culti e delle religioni e tutti parlavano per conto delle divinità.
Lo stesso atteggiamento assunse Bonhoeffer, il teologo tedesco assassinato il 9 aprile del 1945 con l’accusa di aver partecipato al complotto contro Hitler. Bonhoeffer sosteneva con convinzione l’idea che se nella Germania nazista la Chiesa avesse pronunciato il nome di Dio, la gente avrebbe potuto facilmente confonderlo con il Gott mit uns di Hitler impresso sulle fibbie delle cinture dei soldati del Reich. Perciò proponeva una sorta di moratoria, o meglio di ascesi dell’anima e delle parole della fede, rinunciando per un tempo a parlare di Dio in pubblico e continuando a parlare a Dio in preghiera, nella comunità dei credenti, nel quadro della disciplina dell’arcano. Perciò egli scrive in un testo del maggio 1944:
Le parole antiche [compresa quella più importante: la parola “Dio”] devono perdere forza e ammutolire, e il nostro essere cristiani consisterà oggi in due cose sole: pregare e praticare la giustizia tra gli uomini.
La Chiesa non ebbe il coraggio di accogliere la proposta di Bonhoeffer e continuò a parlare di Dio, ma non riuscì a evitare la contaminazione tra il Dio cristiano e l’idolo nazista. In certi momenti della storia, non menzionare il nome di Dio può essere l’unico modo, per quanto paradossale, di santificarlo.
Parole che fanno riflettere. Soprattutto in tempi come oggi dove con troppa facilità si usa – e si abusa – del nome di Dio. Come ha scritto con lucidità il teologo riformato Paolo Ricca
Ci troviamo nel bel mezzo di una grande Babele spirituale, in una impressionante confusione dei linguaggi, a motivo della quale sono molti oggi quelli che, come dice il profeta Isaia «chiamano bene il male e male il bene… mutano l’amaro in dolce e il dolce in amaro» (5,20); sono molti quelli che chiamano Dio il contrario di Dio, chiamano Dio il loro Moloch assetato di sangue.
Così il nome di Dio è bestemmiato, perché viene applicato a un idolo feroce e sanguinario, che è la perfetta contraffazione di Dio. Così si confonde la fede con l’idolatria, lo zelo con il fanatismo, il servizio di Dio con la violenza omicida (lo diceva già Gesù: “l’ora viene che chiunque vi ucciderà, crederà di offrire un servizio a Dio”, Gv 16,2), il culto di Dio con il culto della morte. In questa terribile confusione, verrebbe voglia di non pronunciare più il nome di Dio, oggetto di troppi abusi, di troppe violenze.
Quale altra parola del linguaggio umano fu così maltrattata, macchiata e deturpata? Tutto il sangue innocente che venne versato nel suo nome, le ha tolto il suo splendore. Tutte le ingiustizie che fu costretta a coprire hanno offuscato la sua chiarezza. Qualche volte sentire nominare l’Altissimo col nome di “Dio” mi sembra un’imprecazione» (Martin Buber).
Perciò verrebbe voglia di tacere, come ebbe a dire un giorno il profeta Amos: “Zitto! Non è il momento di menzionare il nome del Signore!” (6,10). Non è il momento di menzionarlo, se questo nome può essere confuso con uno dei tanti idoli che hanno invaso l’anima dell’uomo. Non menzionare per un tempo il nome di Dio potrebbe essere il solo modo per preservarlo dalla confusione con l’idolo, cioè con quella realtà che può assumere mille forme diverse e che, pur essendo chiamata Dio, è il suo esatto contrario.
Tornano alla mente le parole di don Lorenzo Milani:
Quando ci si affanna a cercare apposta l’occasione di infilare la fede nei discorsi, si mostra di averne poca, di pensare che la fede sia qualcosa di artificiale aggiunto alla vita e non invece un modo di vivere e di pensare”.
Ricordiamolo ai quei politici che, con disinvoltura, citano la Bibbia e giurano sul Vangelo. Ricordiamolo noi quando pensiamo che costoro ci stanno difendendo.