Il 7 ottobre si celebra la Giornata mondiale per il lavoro dignitoso, mobilitazione promossa dalla Confederazione Sindacale Internazionale, dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro e da varie organizzazioni sociali e sindacali. “È una data – afferma Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli – che ci sta a cuore perché ha l’obiettivo di porre al centro del dibattito pubblico e delle politiche sociali nazionali, europee e mondiali il tema del lavoro: un lavoro che sia sicuro, in termini contrattuali e di condizioni occupazionali, inclusivo e partecipativo, remunerato, libero da coercizioni, un lavoro inteso come opportunità che risponda alla vocazione di ognuno”.
Negli ultimi anni la crisi economica ha fortemente eroso l’inclusione sociale e aumentato i livelli di povertà, rendendo sempre più urgente un intervento serio sul tema dell’occupazione, soprattutto di giovani e donne.
Parallelamente, il lavoro sta vivendo un cambiamento epocale. Industria 4.0 e gig economy sono due aspetti di questo grande mutamento in atto: il primo avrà un enorme impatto sul mercato del lavoro e sulle transizioni professionali; il secondo sta assumendo i contorni di un nuovo caporalato digitale, la nuova frontiera della precarietà.
“Entrambi – aggiunge Rossini – ricadono in una “zona grigia” che chiama ad una adeguata riflessione il legislatore, i sindacati, le organizzazioni datoriali e il mondo dell’associazionismo affinché si contribuisca tutti a dare cittadinanza, e dunque un nuovo orizzonte di tutele e diritti, ai nuovi lavoratori”.
Benché oggi si assista ad una graduale ripresa della nostra economia, sappiamo che molto c’è da fare ancora sia in termini di quantità sia di qualità del lavoro.
Secondo Santino Scirè, consigliere di Presidenza delle Acli con delega al Lavoro, “l’inclusione è un altro vulnus del nostro mercato del lavoro. Nel nostro Paese le donne continuano ad essere tra le meno occupate: il tasso di partecipazione alla forza lavoro femminile in Italia è del 48% contro il 66% di quello maschile, con una differenza di oltre 18 punti percentuali. Se pensiamo – continua Scirè – ad una parte dei cosiddetti ‘gruppi svantaggiati’, come madri con figli a carico, Neet e lavoratori anziani, il divario occupazionale è il quinto più alto tra i paesi dell’Ocse”.