La 51esima edizione della Giornata Mondiale della Terra si celebra in un contesto molto particolare. Veniamo infatti da un anno di pandemia che, per la prima volta, ha interessato tutti i paesi del mondo, una tragedia che però dobbiamo saper leggere e, in qualche modo, trasformare in un’occasione di cambiamento. Il tema scelto per questa edizione, non a caso, è “Restor our Earth”, “Ripariamo la nostra Terra”, ed è stato legato al ripristino dei nostri ecosistemi inteso come ricostruzione di alcuni habitat naturali sia a livello di flora che a livello di fauna, con il reinserimento di specie in via di estinzione o addirittura già estinte in un determinato luogo. E poi la cura per il pianeta dovrà essere declinata anche nella riforestazione sia di aree terrestri che di aree marine, perché le cosiddette praterie marine possiedono una grande varietà di vegetazione che influisce sull’ossigenazione della terra molto di più rispetto alle foreste.
La pandemia ci ha detto chiaramente che l’equilibrio ecologico del pianeta si è rotto, qualcosa non funziona più nel rapporto tra terra, uomo e animali perché negli ultimi anni non ci siamo preoccupati di quello che stavamo facendo, del saccheggio delle risorse della terra che consapevolmente e inconsapevolmente abbiamo portato avanti e il risultato è anche la pandemia che stiamo vivendo. La speranza però è che, come ci ha ripetuto più volte Papa Francesco, da questa emergenza riusciamo a cogliere un’occasione per un reale cambiamento, un cambiamento che possa riguardare tutti i cittadini ma in particolare i potenti del mondo, che abbiano il coraggio di curare questa nostra terra e di farlo anche attraverso il ripristino degli ecosistemi: ci sono territori come l’Islanda, l’America Latina ma anche l’America del Nord che hanno subìto spopolamenti di vegetazione e che vanno al più presto ripopolati. Ci sono tanti mari, anche nel nostro paese, che hanno bisogno di vedere nuovamente la vegetazione che c’era fino a qualche decennio fa. Non abbiamo molto tempo e se non cominciamo a porci in questa logica di tutela dell’ambiente, i rischi di ritrovarci, non fra 200 anni ma in poco tempo, in un pianeta sempre meno abitabile, si moltiplicheranno sempre di più.